Incontri D'Autore

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foto Matteo Saraggi

A circa 20 km da Asti si trova "la più piccola città d'Italia", Moncalvo.
Moncalvo è uno dei centri più attivi del Monferrato, con la cantina dei "Settecolli" che produce i tipici vini monferrini, Barbera, Grignolino, Freisa; il tartufo, che per qualità e sapore è paragonabile a quello di Alba, tanto da presentarsi annualmente alla "Fiera del Tartufo di Moncalvo"; l'allevamento del bestiame, con i buoi della pregiata razza piemontese bianca, che la rendono nota per la sua "Fiera del bue grasso"; gli ottimi salumifici e la ristorazione con la cucina tipica monferrina.
Il nome Moncalvo deriva dal nome latino Mons Calvus, ovvero Monte di Calvo, il nobile romano che li costruì la propria villa attorno a cui si sviluppò la cittadina.
La città sorge compatta, raccolta nella cinta muraria e circondata dai torrioni si snoda sui vari livelli sulla cima della collina. Dall'alto della torre del belvedere, sulla piazza centrale del mercato, si domina la valle sottostante e si possono scorgere le cime innevate delle Alpi, il Monviso, le colline con i vigneti allineati, i campi biondeggianti di grano, i verdi prati e i boschi del Parco del Sacro Monte di Crea. 

Antichissimo borgo di origine romana, nel Medioevo fu possesso dei vescovi di Asti, poi del marchese del Monferrato. Continue lotte per il suo dominio la devastarono finchè nel 1557 passò ai milanesi e ai Gonzaga, con i signori Galeazzo di Canossa nel 1604, Rolando Natta nel 1619, e Filiberto marchese di Ceva nel 1671. Venne saccheggiata nel 1691 dalle truppe imperiali di Eugenio di Savoia. Nel 1774 Vittorio Amedeo III la nominò "Città" riconfermando il titolo già attribuitole dal duca di Mantova Ferdinando Carlo Gonzaga nel 1705.

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I bastioni e le torri del castello risalgono al secolo XIV e racchiudono il borgo medioevale con strette viuzze, scalinate, rampe scoscese, viottoli ripidi, imponenti palazzi, e botteghe artigianali.
Dal fondo del paese risaliamo la salita ciottolata che conduce alla piazza centrale tra il vociare dei passanti e quasi pare di percorrere un'antica viuzza medioevale con l'andirivieni di mercanti, contadine, dame e cavalieri, scorgendo angoli suggestivi, botteghe, piccole piazzette raccolte intorno ad antichi palazzi, la chiesetta stretta dalle mura delle vecchie case, i portoni barocchi di fattura stupenda tanto che invitano a soffermare l'obiettivo, come Palazzo Testafochi e la Casa De Maria stupendo esempio di gotico. Alla cima ci attende l'imponente piazza centrale con il Teatro Comunale in stile neoclassico, sede di importanti manifestazioni culturali internazionali.
Moncalvo racchiude piccoli tesori d'arte come le tele dell'insigne pittore Guglielmo Caccia detto "il Moncalvo" (Montabone 1568 - Moncalvo 1626), ivi sepolto nella trecentesca parrocchiale in cui si possono anche vedere numerose sue tele e quelle della figlia Orsola anch'essa pittrice, e una tela di Macrino d'Alba.

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La storia ci riporta alle "Regali scappatelle" di Vittorio Emanuele e così ci ricordiamo che Moncalvo nel 1833 ha dato i natali a "La Bela Rusin", Rosa Vercellana (1833-1885), moglie morganatica di Vittorio Emanuele II.
Il Palazzo Municipale del 1630 si trova in un antico convento delle Monache di Sant'Orsola.
Moncalvo vanta anche l'antica tradizione del gioco del tamburello a muro, detto "tambass".
Da vedere la Sinagoga, struggente ricordo.

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Nei ristoranti si può apprezzare la cucina tradizionale piemontese, gustare gli affettati monferrini; la carne battuta al coltello; il vitello tonnato; i peperoni in bagna càuda; non manca il fritto misto monferrino; l'eccellente carrello di bollito misto di Moncalvo con varie salse, che qui è quasi... un rito; gli agnolotti; il bonet. Tra i prodotti tipici che Moncalvo offre l'ottimo pane monferrino, come le grosse forme di monfrin-a o la gressia, la biova, e la banana.

Anche i dintorni offrono spunti turistici paesaggistici e artistici, come il Parco Naturale del Sacro Monte di Crea, che sorge poco lontano da Moncalvo, sulla cima del colle.
Scendiamo in direzione Vercelli e poco distante, sul rettilineo del fondo valle, sulla sinistra dove si trova il passaggio a livello trovate il bivio che sale verso Serralunga di Crea e il Sacro Monte.
I Sacri Monti sono dei luoghi di devozione posti in luoghi specifici, spesso sulla sommità di un monte e in cui l'immaginario collettivo ha dato origine a fenomeni soprannaturali, miracolosi o comunque sono luoghi dedicati al culto rivolto alla richiesta di intercessione delle Madonna e dei Santi per sollevare il pellegrino da avversità o per elevarne l'Anima, e per questo anche Crea fu luogo di transito di devoti. Sono le antiche strade, i sentieri che hanno segnato il cammino dei pellegrini e della fede, come qui dove alla Madonna sono dedicati il Santuario e la Via Sacra che sale alla Cappella del Paradiso. Nella tradizione cristiana il pellegrinaggio ha sempre simboleggiato la fede creando punti d'incontro tra religiosità e luoghi di culto che per qualche fatto incredibile hanno attratto l'immensa folla dei devoti in cerca di aiuto e sollievo alle loro tribolazioni: da Roma a Lourdes, da Medjougore a Santiago de Compostela, da Fatima a Gerusalemme e in ogni altro luogo che abbia visto apparizioni o sia stato soggetto ad eventi miracolosi.
Qui salirono umili contadini portando nel cuore sentimenti di devozione, ma anche principi e crociati portando con se i trofei conquistati durante le Guerre Sante contro i turchi, non a caso la chiesa del santuario fu in parte costruita durante le Crociate nel 1000-1250.

Nella quiete di questo luogo di devozione vennero a pregare la Vergine Maria i Paleologi, i Gonzaga, i Savoia, S. Bernardo, S. Vincenzo Ferreri, S. Bernardino da Siena, Margherita di Savoia, S. Luigi Gonzaga, S. Giovanni Bosco, il Papa Pio V.
Il primo a cercare rifugio cristiano fu in fondatore S. Eusebio, Vescovo di Vercelli che nel 363 si ritirò su questo monte selvaggio portando con se la statua taumaturga della Madonna, per sfuggire alle persecuzioni degli Ariani, la cappella in cui è custodita la statua della Madonna fu costruita per suo volere, ai lati vi sono quattro statue: San Luca che scolpisce la statua, Sant'Eusebio che la porta, S. Elena con la croce, e Santa Margherita di Antiochia, vergine e martire, morta nel 275 dopo essere stata catturata, imprigionata, torturata con il fuoco, flagellata, messa in una caldaia bollente e poi decapitata.

Il Parco e il complesso del Santuario compongono un angolo di pace che unisce la terra alla religiosità
del cielo come dimora divina, per questo la cappella che sorge sulla sommità si chiama "Cappella del Paradiso". Dopo 16 anni di lavoro la Cappella è tornata all'antico splendore grazie all'intervento di uno dei più famosi restauratori che opera nel mondo, Gianluigi Nicola di Aramengo. La cappella venne costruita nel '500 sulle rovine del castello Cardalona di cui se ne vedono alcune strutture inferiori. E' a pianta rotonda e posta su due piani, con un anello attorno formato da un grandioso porticato che si congiunge a due rampe di scale e coperto dalla cupola. L'interno racchiude uno stupendo gruppo scultoreo suggestivo che pare sospeso in cielo e si estende attorno alla Vergine circondata da 175 angeli e 300 figure.
Le cappelle che dal Santuario salgono al Paradiso sono perfettamente inserite lungo la bella strada (pedonale) che attraverso il parco ripercorre un pellegrinaggio storico religioso. Bello il chiostro del convento, del XIII secolo, un tempo visitabile solo dagli uomini. I Padri Francescani sono seppelliti nel sepolcreto S. Alessio.

Il santuario appartenne ai Canonici di Vezzolano sino al 1468, poi passò ai Lateranensi sino al 1798, ai Serviti sino al 1801 e dal 1820 sino al 1992 ai Minori Francescani, attualmente è condotto dalla curia di Casale (AL) che è anche proprietaria del Sacro Monte.
La chiesa dedicata a Maria Assunta venne ampliata nel 1483 dal marchese del Monferrato Guglielmo Paleologo, nel 1608 iniziarono i restauri voluti dai Lateranensi che durarono sino al 1612.
Molto bella è la raccolta degli ex voto, alcuni molto vecchi e ognuno rappresenta un momento di vita della sua epoca, attraverso i dipinti è come "leggere la cronaca di un'epoca ed entrare nella storia e negli eventi": gli ex voto potrebbero essere definiti "i quotidiani di un'epoca".
Il Sacro Monte venne progettato nel 1589 da Costantino Massino e prevedeva 15 Cappelle dei "Misteri del Rosario". Oggi ha 23 cappelle e 5 Romitori posti sulla "Via del Ritorno" che rappresentano momenti di ascesi mistica rivolta alle figure dei santi.
Molto belli i gruppi statuari in terracotta policroma e i dipinti delle cappelle a cui lavorarono, da fine '500 a inizio '600, Guglielmo Caccia detto "Il Moncalvo", Giovanni e Nicola Wespin (i Tabacchetti), G.B della Rovere (il Fiamminghino), Giorgio Alberini, Veglia d'Asti e i Prestinari.
Con le soppressioni napoleoniche si ebbe un periodo di abbandono e nell'Ottocento si iniziò un'intensa opera di restauro e di rifacimenti delle cappelle che terminarono ai primi del Novecento a cui presero parte Bistolfi, Brilla, Maggi, Latini, Morgari, Capra e Caironi.
Esiste una cappella detta "del diavolo".

Il Sacro Monte sorge su uno dei punti più elevati delle colline del Basso Monferrato ed è costituito da rocce sedimentarie di elevata franosità, da boschi e non mancano fiori rari o fuori dall'area di distribuzione: giglio rosso, anemoni, orchidee. Tra gli animali troviamo scoiattoli, lepre, tasso, volpe, ghiro, poiana, gheppio, gufo, civetta, barbagianni, allocco, fringuello, picchio cinciallegra, salamandra, e non manca la vipera.
Il Santuario e il sentiero che conduce al "Paradiso" sono accessibili, ma la visita al parco è disciplinata dalla Legge Regionale che non consente raccolte di fiori e altre condizioni atte a conservare il patrimonio artistico, per le visite guidate prenotare allo 0141927120. Presso la sede del Parco si può ritirare materiale informativo. Esiste un servizio di ospitalità ai pellegrini e ai turisti, con 60 letti e un ristorante con cucina tipica; lungo il viale del Sacro Monte vi sono cinque aree per picnic e in caso di maltempo è disponibile un locale coperto in grado di ospitare circa 100 persone, su prenotazione allo 0141927120; sul piazzale si trova un bar e il negozio di souvenir.
Poco dopo, scendendo si trova una grande cappella con la fontana di S. Eusebio che sgorgò miracolosamente per dissetarlo.

Nei dintorni, cosa vedere:
Serralunga di Crea conserva molte leggende. Si narra che un tempo sul colle del Brich (ora Castarveli) sorgesse l'omonimo castello e che lò regnasse un enorme rettile detto " Il re delle bisce" lungo due metri e con una cresta rossa simile ad una corona. Castarveli è una località di confine con il territorio di Casalino. Non molto distante si trova il "Brich d'la Furca", il bricco della forca, il luogo in cui venivano giustiziati mediante impiccagione coloro che avevano sconfinato nel territorio di Serralunga senza permesso e coloro che non pagavano i debiti.
Anche i dintorni riservano delle sorprese, come nella frazione Patro, a due km da Moncalvo, dove vive Primo Favarin, classe 1939, l'artigiano dei "Subiet 'd Patro" (subiet significa "fischietti"), dei fischietti che hanno la forma di statuine di terracotta policroma a soggetto satirico, o che riproducono la vita contadina, animali e personaggi.

Nato a Padova, a 3 anni si trasferisce in Toscana, poi in Piemonte, a Moncalvo, dove vi rimane tutta la vita e si lega alla tradizione locale della creta che lavora a mano impastandola per dare la forma dei "subiet". Predilige le forme degli animali, in particolare degli uccellini, ma è autore anche di caricature e di figure per i presepi.
Come scultore espone le sue opere nel Museo di Angera sul Lago Maggiore, nel Museo Etnografico di Roma, nel Museo del Presepe di Conzano (AL), alla mostra del fischietto piemontese e valdostano a Borgo San Dalmazzo (CN), insegna educazione artistica nelle scuole medie di Asti e a Moncalvo con la speranza di tramandare ai giovani la sua passione nel costruire i "subiet".
Attualmente si conoscono pochissimi fischiettai, tra cui Mario Giani (Clizia), Marco Burchi (Subiola).
Un tempo i "subiet" venivano venduti sui banchetti delle fiere locali come oggetti di buon auspicio.

Anticamente si pensava che usandoli avessero il potere di scongiurare le malattie, allontanare gli influssi negativi e se posti nella culla del neonato difenderlo da attacchi malefici. Il fischietto veniva utilizzato come oggetto propiziatorio per attirare l'abbondanza e allontanare il male e i malefici, proprio come le statuine votive di terracotta e l'aggiunta modifica che permetteva di ottenerne un fischio o sibilo aveva lo scopo di fare meglio sentire la propria richiesta: i fischietti riproducono le parti malate, il gobbetto, ecc.
A volte sono usati come semplici giocattoli o come oggetti di ceramica a fiato, null'altro che semplici fischietti ma in realtà racchiudono significati culturali molto profondi e dalle origini antichissime, molte culture sparse nel mondo li utilizzavano per scopi ben diversi dagli attuali.
Una delle forme più comuni che si riscontra in altri luoghi in cui vengono costruiti è quella del gallo.
A Bassano del Grappa (Veneto) come a Caltagirone, da Cortona o nelle Puglie a Bari, dove ne è stato trovato uno risalente al Basso Medioevo, sino a None, ovunque esiste una cultura del "fischietto". In Baviera si depone nella culla, note sono anche le galline russe coloratissime: se ne trovano anche nei dipinti di Chagall.

Si ricorre alla figura del gallo che anticamente simboleggiava la fertilità e fischiarlo aveva il significato di un richiamo. Una similitudine è l'ocarina, strumento musicale, anch'essa all'interno ha uno o più fori che soffiando emettono fischi o sibili.
Tra i vecchi costruttori di "subiet" ricordiamo Antonio Guazzo e il vecchio Mattia, il nonno che aveva dato il nome a questi fischietti "subiet 'd Mattia".
A Moncalvo nel Palazzo Civico sono conservati 24 esemplari storici di Mattia Guazzo (1876-1949), chiamato"spagnulin" (peperoncino rosso) perchè costruiva fischietti con questa forma da appendere all'occhiello della giacca, legati con un cordoncino di seta rossa.
I primi fischietti risalgono al '700 ed erano di una speciale argilla bianca, se ne hanno tracce nei santuari di Crea (AL) e di Varallo Sesia, nella Valle del Cervo (BI). Ai primi dell'800 Felice Guazzo inizia la fabbricazione, proseguita dal nipote Antonio che la tramanderà al figlio Mattia il più conosciuto della famiglia Guazzo, che però si estinse con la morte del figlio Angelo nel 1949. Una sorella di Angelo insegnò a Favarin dove si poteva estrarre quel particolare tipo di tufo, l'unico adatto a costruire la cassa armonica dei fischietti, e che si trovava in un vigneto a Patro, a due metri di profondità. Stemperato in acqua calda e filtrato con una garza il materiale ottenuto viene plasmato e lavorato, unitamente ad un segreto di fabbricazione che grazie a quelle complessi leggi fisiche trasformano dei semplici forellini in casse armoniche che caratterizzano il fischio. Il lavoro, lungo e complesso termina con la cottura e alla fine se ne ottiene una scultura che fischia.

Ma quali sono le origini della magia e della superstizione della parola "fischiare".
Una superstizione cristiana afferma che una donna fischiava mentre venivano forgiati i chiodi della croce su cui Cristo venne crocifisso e per questo quando una donna fischia la Madonna piange e il suo cuore sanguina.
Cattivo presagio è fischiare sulle navi, attirerà una burrasca; in una miniera, porterà sventura e tutto esploderà; a teatro e in camerino, l'esibizione sarà un solenne fiasco.

Dal "fischiare" non sono esenti le nostre orecchie, significa che qualcuno ci sta pensando: l'orecchia destra significa lodi, biasimo per il sinistro.
Anche se è improbabile che una donna fischiasse ai tempi di Gesù, che il fischiettare faccia esplodere una miniera e distrugga una bella recitazione, è sempre meglio tenere in considerazione il detto: "Per carità! Superstizioso io! Nemmeno a pensarlo!
... Tocca ferro!"...


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