Eventi

La manifestazione si tiene nelle quattro domeniche di ottobre

A Sant’Agata Feltria, cuore del Montefeltro nell’alto pesarese, la grande rassegna fieristica si tiene nelle cinque domeniche di ottobre, e richiama numerosi estimatori del prelibato e profumatissimo tubero. Ipnotizzati dal carisma della "trifola", le migliaia di visitatori troveranno anche quest''anno, accanto al celebre tubero, tutti i prodotti autunnali che questa generosa terra appenninica offre: funghi, castagne, miele, erbe officinali, prodotti della pastorizia e della agricoltura e, inoltre, manufatti dell''artigianato rurale ed artistico. L''accurata selezione dei prodotti e delle specialità presenti in fiera sono garanzia di genuinità e freschezza e fanno della manifestazione di Sant’Agata Feltria, l''appuntamento autunnale più prestigioso del settore in Italia.

Ma la fiera è anche momento d’incontro per gustare le numerose specialità, a base di tartufo e funghi, tra le più raffinate e squisite della cucina nazionale ed internazionale.

Le vie, le piazze, gli angoli più caratteristici dell''incantevole borgo medioevale della cittadina, celebre per la sua maestosa rocca, a pochi passi dalla Toscana e Romagna e che si fregia del marchio "Città del Tartufo", si riempiono di odori inebrianti ed esaltanti, vera delizia per i buon gustai.

Per tutta la durata della manifestazione si susseguiranno mostre di alto valore culturale. Diversificate occasioni di intrattenimento e spettacoli musicali, itineranti e di animazione per i più piccoli. Ogni fine settimana degustazioni di vini, con apertura delle cantine storiche e spazi espositivi dedicati all’enologia.

La prima domenica sarà assegnato il Premio “Cittadinanza onoraria di Sant’Agata Feltria”, ad illustri personaggi del mondo dello spettacolo, cultura o politica. Spaio anche alla presentazioni di guide e volumi dedicati all’eno-gastronomia e a piatti e ricette tipiche. Previsti convegni, incontri, tavole rotonde e dissertazioni gastronomiche. Nei ristoranti e locande non mancheranno menù e piatti a base del pregiato tubero.  

Il Tartufo nella storia

Il Tartufo rappresenta l''espressione massima autunnale, regnando incontrastato sulle tavole e provocando la fantasia dei buongustai.
E'' noto che fin dall''antichità si facesse uso gastronomico di questo pregiato fungo, dai Babilonesi agli Egizi che furono i primi a decantarne le qualità allo stesso Cheope che li preferiva cotti, per finire al greco Teofrasto, allievo di Aristotele, al quale si fa risalire una curiosa e famosa cantonata scientifica sulla natura del nobile vegetale: secondo la sua interpretazione, lo sviluppo del Tartufo sarebbe da attribuire niente meno che alla combinazione tra pioggia e tuono, introducendo in questo modo la millenaria nomea sulle sue virtù.
Era presente sulla tavola del celebre Lucullo, uomo di proverbiali stravizi, ed ai Romani si devono, seppure incidentalmente, i nomi correnti del Tartufo: terrae tuber, come lo definirono plinio il Vecchio e Petronio, o truffolae terrae, vale a dire rigonfiamento della terra, sintetizzato in truffolae, da questo il dialettale trifola e le voci straniere truffe, francese, e truffle, inglese.

Trascurati per millenni dalla gastronomia, i tartufi entrano in scena con vigore sul nascere del secondo Millennio. L''epoca grigia del tartufo sembra ormai lontana, sono lontane le teorie strampalate di Teofrasto e di quanti sostenevano dicerie sulle sue virtù, e nel nuovo clima che si sta creando attorno a questo frutto, l''epoca dei Comuni e delle Signorie rappresenta la rinascita gastronomica che porterà i tartufi bianchi e neri a diventare i protagonisti delle tavole del Rinascimento.
Aneddoti che coinvolgono personaggi di grido del tempo si susseguono, da Caterina Dè Medici, cui si attribuisce il merito di aver portato il Tartufo alla corte di Francia, alla perfida Lucrezia Borgia, che pare se ne servisse per accrescere il suo fascino. Quanto alle presunte proprietà erotiche del tubero, qualche risvolto ormonale deve poi averlo il suo forte profumo.

Perché mai le femmine di cinghiale, stando a certi cronisti, avrebbe interrotto la fuga imbattendosi nella fatale trifola? Di questi aneddoti ne è colmo anche il campo gastronomico fino all''apoteosi dei Tournedos alla Rossini.
Paralleli ai progressi gastronomici sono gli sforzi per scardinare il segreto biologico del Tartufo. Scarsi i risultati: occorre aspettare il 1831 e la Monographia Tuberacearum di Carlo Vittadini perché lo si definisca un fungo ipogeo. Nell'' attesa Molière lo eleva ai disonori della commedia facendo di Tartufo il suo più celebre eroe negativo, ipocrita e moralmente sotterraneo ( e l'' evidente parentela della parola truffa da truffe la dice lunga sulle delusioni già allora patite da cercatori e acquirenti). Un ingiusto destino per il nobile frutto. 

IL FORMAGGIO DI FOSSA

Il formaggio di Fossa per molti decenni è stato solamente un prodotto locale, ma il suo particolare gusto lo ha reso un prodotto ricercato ed interessante tanto che per evitare imitazioni e contraffazioni ora mai diffuse, si è avvertita la necessità della costituzione di un Consorzio di Organizzazione- Promozione- Tutela.

Tutto ciò è possibile attraverso l''adozione di marchi collettivi, Doc e Dop così come previsto dalle normative nazionali e comunitarie.
Le prime notizie certe sul formaggio di fossa risalgono al XV secolo quando si narra che Alfonso D''Aragona, figlio del re di Napoli, sconfitto in battaglia dai Francesi, chiese ed ottenne ospitalità presso Girolamo Riario, signore di Forlì. Nella impossibilità di essere totalmente mantenute, le truppe Aragonesi attuarono numerose scorrerie nelle campagne del circondario depredando i contadini di tutto quanto fosse stato commestibile, tanto che i poveretti furono costretti ad occultare le provvigioni di ogni genere.
Nel Novembre seguente quando i soldati fecero ritorno a Napoli, i contadini riportarono alla luce le vettovaglie nascoste nelle fosse naturali e con stupore osservarono che i formaggi avevano mutato il loro aspetto ed erano diventati particolarmente appetibili e gustosi.
Più specificatamente nel caso di Sant’Agata Feltria, le fosse furono costruite nelle case patrizie ed erano destinate alla conservazione dei cibi, queste ancora intatte si presentano nella forma classica a fiasco o ad otre con dimensioni medie di cm. 260 nel diametro di base, cm. 270 di altezza e cm. 65/70 nel diametro dell''imboccatura.

Tutte quante sono state ricavate nelle abitazioni dell''attuale centro storico del capoluogo, scavando nel masso di roccia arenarica (molassa) che fungeva quale elemento di difesa naturale delle abitazioni medesime nonchè del castello.
Il rito di preparazione delle fosse avviene alcuni giorni prima dell''infossamento, bruciando paglia all''interno della fossa allo scopo di togliere umidità e di eliminare i germi che potrebbero nuocere ad una normale fermentazione e procede poi con il rivestimento delle pareti con uno strato di 10 cm. di paglia sostenuta da una impalcatura di canne poste in verticale ed interlegate orizzontalmente su cerchi di legno. Sul fondo vengono sistemate tavole di legno tanto da formare un pavimento elevato di 10 cm. sul quale graverà il contenuto di tutta la fossa e servirà soprattutto a tenere separato il formaggio dai liquidi prodotti dalla fermentazione.

A questo punto inizia l''infossamento dei formaggi: questi gia sistemati nel numero di 8/10 all''interno di sacchetti chiusi di tela di cotone, bianca di colore, adagiati uno sull''altro, leggermente costipati ad occupare tutto lo spazio disponibile fino all''imboccatura, dopodiché le fosse ormai colme vengono chiuse con coperchi di legno e sigillate lungo il perimetro del coperchio con il gesso.
Nei tre mesi di stagionatura il formaggio subisce delle trasformazioni strutturali e microbiologiche dovute ad una rifermentazione avvenuta all''interno della fossa in condizioni di umidità e temperatura ideali, perché il prodotto acquisti sapore ed aroma attraverso la maturazione caratterizzata dai processi chimico-enzimatici. Dopo 90/100 giorni le fosse vengono riaperte e dai sacchi di tela si estrae un prodotto dalle caratteristiche forme irregolari , privo di crosta, dalla pasta di consistenza dura o semidura di colore giallo-paglierino.
Questo è il formaggio di fossa dal sapore accentuato leggermente piccante e dall''inconfondibile aroma. E'' necessario tuttavia precisare che allo stato attuale il prodotto non subisce in loco alcuna manipolazione, in quanto i commercianti o le stesse aziende produttrici forniscono personalmente e direttamente il formaggio già confezionato nei sacchetti ed allo stesso modo, nel momento della riapertura delle fosse il prodotto viene prelevato e trasportato sugli idonei automezzi direttamente dagli interessati.

Si deduce pertanto che il formaggio non viene mai immagazzinato nei locali contenenti le fosse , le quali una volta svuotate vengono ripulite immediatamente della paglia ( che nel frattempo ha assorbito i liquidi fuoriusciti dai sacchi) raccolta dentro normali sacchi per rifiuti domestici e smaltita attraverso la normale raccolta.

La storia di Sant’Agata Feltria

Il territorio di Sant'Agata Feltria, di confine fra Marche e Romagna, è posto fra le valli dei fiumi Savio e Marecchia. E' uno dei centri più caratteristici del Montefeltro e offre piacevoli itinerari culturali e naturalistici di notevole interesse.
Le origini di Sant'Agata Feltria risalgono al periodo Pre-Romano quando in questi luoghi si insediarono tribù umbre. Essendo un popolo di agricoltori, di pastori e di cacciatori, era possibile una loro stabilizzazione nelle foreste che coprivano il massiccio Appenninico.
E' nel VII secolo Avanti Cristo che si parla di una tribù Sapinia, costituita da popoli Sarsinati e Solonati. Questi popoli formavano municipalità separate, fra le quali celebri le città di Solonia e di Sarsina. Nel territorio Solonate era compreso quello che ora costituisce il territorio del Comune di Sant'Agata Feltria. Nelle invasioni dei Goti, Solona fu distrutta completamente.

Verso il Seicento D.C., in seguito ad una frana , dal Monte Ercole sovrastante Sant'Agata Feltria, si staccò una roccia arenaria, sulla quale ai primordi dell''VIII secolo, sorse una chiesa dedicata a Sant’Agata. Ai piedi della roccia, venne a costruirsi man mano, un agglomerato di case, che in principio ebbe il nome di Pietra Arenaria, poi quello di Sant'Agata Feltria.
Secondo una leggenda, la Chiesa fu costruita in ricordo di Sant’Agata, la quale insieme a San Leone e San Marino, risaliva un giorno la valle del Marecchia in cerca di luoghi solitari, ove stabilirsi.

Senonchè sia per amore di quiete, sia per sfuggire alle tentazioni carnali, a un certo momento si separarono. Così San Marino salì sul Monte Titano, San Leone sul Monte Feltro e Sant’Agata sul Monte di Perticara. Ma anche dalle vette di questi monti i Santi erano attratti a scambiarsi dei saluti e allora Sant’Agata scese ad abitare negli anfratti di una roccia detta “Sasso del lupo”.
Vecchie memorie dicono, invece, che il paese di Sant'Agata sia stato fondato dai Goti, dopo aver distrutto un castello nelle vicinanze.
Sulla fine dell'' 800, per investitura ecclesiastica, tutto il territorio santagatese venne signoreggiato dai Cavalca Conti di Bertinoro, i quali mantennero il feudo di Sant'Agata Feltria per quasi due secoli.

Nel 1177, morto il Conte Cavalca, senza aver lasciato figli, il Rettorato di Sant'Agata Feltria che comprendeva molti castelli e varie località, fu dato dall''Imperatore Barbarossa ad Antonio Feltrio Conte di Montecopiolo. Ma tale cessione fu contrastata dalla Santa Sede.
Nel 1296 era Signore di Sant'Agata Feltria Guido Tiberti di Petrella, da questi passò ai Faggiolani, poi nel 1334 ai Tarlati d''Arezzo, che nel 1335 furono scacciati da Uguccione della Faggiola (di dantesca memoria) a cui fu tolta dal Cardinale Egidio Albornoz.
Nel 1430 Sant'Agata Feltria venne data in Vicariato ai Malatesta, che la tennero sino al 1463, quando Federico da Montefeltro riconquisterà per la Santa Sede la Rocca di Sant'Agata Feltria ed i Castelli dell''Alto Montefeltro.
Così Federico fu nominato Duca e Gonfaloniere della Santa Sede, facendo innalzare le sue insegne e immurare il suo stemma nelle Rocche e nei Castelli di suo dominio. Da questa famiglia venne infeudata ai Fregoso di Genova che la tennero ininterrottamente fino al 1660. Nel Governo si susseguirono: Ottaviano I° Fregoso Federico, Aurelio I°, Ottaviano II°, Orazio e Aurelio II°.
Il Feudo tornò alla Santa Sede che lo passò sotto la giurisdizione della legazione di Urbino.

Nell''età napoleonica fu capitale del dipartimento del Rubicone. Nel Risorgimento, dopo aver liberato gran parte delle Marche e della Romagna, proprio a Sant'Agata Feltria si sciolsero i Cacciatori del Montefeltro, depositando le armi nel "Teatro Angelo Mariani".

I MONUMENTI DI SANT’AGATA FELTRIA

ROCCA FREGOSO

Pietra Anellaria è uno degli antichi nomi di Sant'Agata Feltria, e per la precisione, indicava il gruppo di case costruite sul blocco di pietra arenaria (da cui anellaria) e distinte dal borgo vero e proprio. Il luogo era anche detto "Sasso del Lupo". E'' l''attuale Rocca Fregoso, che ancor oggi domina Sant'Agata Feltria e ne è il monumento che la distingue.
Nel luogo detto "Sasso del Lupo" e "Pietra Anellaria", i Cavalca Conti di Bertinoro, costruirono una Rocca attorno all''anno mille. Il piccolo borgo, per la sua posizione di confine, acquista importanza strategica, diventando assieme alle Rocche di San Leo e Maiolo, la punta più avanzata del sistema difensivo settentrionale del futuro Ducato di Urbino.

Ma è con l''avvento al Soglio Urbinate dei Montefeltro, che la Rocca primitiva, subisce le prime radicali trasformazioni. Nell''opera di restaurazione, Federico da Montefeltro, si servì dell''Architetto militare senese Francesco di Giorgio Martini (1474), per rimodernare le Rocche di suo dominio, fra le quali, la struttura fortificata di Sant'Agata Feltria, che trasformò da baluardo bellico, a dimora principesca, per la figlia Gentile Feltria, che fu data in sposa al nobile Agostino Fregoso, fuoriuscito da Genova e rifugiatosi dai Montefeltro in Urbino.
Con l''avvento dei Fregoso, la Rocca venne gradualmente ampliata e abbellita con opere d''arte, come i bei soffitti a cassettoni del primo piano, i monumentali camini rinascimentali, la Cappella esagonale con affreschi cinquecenteschi, che decorano la parete di fondo, le cinque lunette e gli spicchi nel soffitto. Il secondo piano della Rocca era destinato all''abitazione del Castellano e in seguito al Comandante della Guarnigione. Il salone è aperto da un grandioso portale in pietra, con fasce degradanti verso l''interno.

COME ARRIVARE A SANT’AGATA FELTRIA

AUTOSTRADA A14 BOLOGNA - ANCONA con uscita a Cesena Nord proseguendo poi sulla SS. E 45 per Sarsina
AUTOSTRADA A14 ANCONA - BOLOGNA con uscita a Rimini Sud proseguendo poi sulla SS. 258 Marecchiese per Novafeltria
SUPERSTRADA E45 ORTE - RAVENNA con uscita a Sarsina Nord
DISTANZE CHILOMETRICHE: a Km 41 da Rimini, a Km 38 da Cesena, a Km 50 da Sansepolcro.

Per informazioni:
Comune tel. 0541/929613 - Fax 0541/848591 - Pro Loco 0541/848022 - www.santagatainfiera.com  - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 
Ufficio Stampa: Samuele Sabatini 329.6236574


Gli eventi, le date, i luoghi risultano comunicati dagli Organizzatori delle singole iniziative. Le manifestazioni elencate potrebbero subire delle modifiche delle quali Taccuinodiviaggio.it non si assume la responsabilità.

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