Incontri D'Autore

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Albugnano e l'Abbazia di Vezzolano

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foto Matteo Saraggi

Siamo in Piemonte, terra di castelli, pievi, abbazie, santuari e Sacri Monti.
Prosegue il nostro viaggio in Piemonte e nei luoghi di "Golosaria": rotta verso Albugnano, nella provincia di Asti, per scoprire l'Abbazia di Vezzolano.
Nel territorio di Albugnano non è inusuale durante l'aratura rinvenire fossili, infatti tutta la
zona ne è ricca. I ritrovamenti archeologici dimostrano che queste terre erano già abitate ai tempi della colonizzazione romana e in queste zone esistevano le ville dei patrizi, infatti Albugnano deriva dal latino Albugnianum e ha preso il nome da Albonius il patrizio romano che qui viveva.
Quando il paese passò ai Marchesi del Monferrato venne circondato da mura, poi nel 1292 lo conquistarono gli astigiani. Nel 1320 e sino al XVI secolo vennero restaurate le fortificazioni, ma nello stesso secolo il maresciallo francese De Brissac le distrusse completamente.
L'Abbazia di Vezzolano ebbe grande dominio sul territorio, nel trittico sull'altare si può vedere lo stemma di Albugnano: uno scudo rosso con tre gigli. Lo scudo rosso era il simbolo dei Monferrato che erano anche i protettori dell'Abbazia, i gigli furono invece concessi in dono da Carlo VIII in riconoscimento dell'ospitalità ricevuta in seguito alla sua permanenza in Piemonte (Asti, Torino, Chieri) a causa di una malattia: mi viene da pensare ad una delle prime simboliche... stellette delle guide Michelin!
Quando Carlo VIII tornò a Chieri, ospite dei Solaro, si recò all'Abbazia e donò il simbolo dei tre gigli al canonico erborista in riconoscimento delle cure che lo avevano guarito.
Ogni anno la seconda domenica di giungo si festeggia Sant'Antonio da Padova a cui nel XVII secolo si rivolsero i contadini per chiedergli di porre fine alla tremenda epidemia bovina che decimò il bestiame.
L'Abbazia di Santa Maria di Vezzolano è il centro di un triangolo mistico formato da alcune località dove la devozione ha costruito imponenti opere architettoniche come il Colle don Bosco e Mondonio dove nacque San Domenico Savio.
E' il più famoso monumento romanico dell'astigiano, le sue origini sono sconosciute e sono molte le leggende popolari che circondano questo stupendo gioiello. Si dice che dopo la vittoria su Desiderio (ultimo re dei Longobardi) e del figlio Adelchi, l'imperatore Carlo Magno si riposasse in questa zona e durante una battuta di caccia nei boschi, in seguito ad un attacco epilettico, ebbe una orribile visione della "danza macabra" tra i vivi e gli scheletri. Carlo Magno chiese alla madonna di intercedere per lui e miracolosamente guarì, così per ringraziare la Vergine fece costruire l'abbazia.
Un'altra leggenda vuole che Federico Barbarossa la rese una delle più ricche e conosciute.
Nel XVII secolo il territorio passò ai Savoia (che lo infeudarono con i Benso, i Gonteri, i Serra), in seguito divenne feudo dei canonici di Vezzolano, purtroppo il XIV secolo segnò il suo declino. I canonici agostiniani la abbandonarono intorno al '600. Nel 1800 divenne bene nazionale del governo francese e soppressa da Napoleone, in seguito nel corso degli anni subì numerosi eventi, cambi di proprietà e di destinazione, fino a quando nel secolo scorso divenne un bene dello Stato.
L'Abbazia è un gioiello storico e architettonico romanico-gotico-longobardo di rara bellezza e fascino. Posto in una posizione di totale isolamento nella quiete di una vallata seminascosta,
venne fondata nel 1095 come si legge in un atto del XII secolo.
Oltrepassato il muro di cinta ci troviamo in un piccolo giardino con enormi palmizi che si
alzano verso il cielo, come spade "custodi del silenzio" che regna in questo luogo.
Il campanile romanico è semplice, le fiancate e le absidi sono decorate da cornici e archetti pensili e si presentano nell'antica "armonica dissimmetria".
La monumentale facciata è in cotto e arenaria, decorata con capitelli e statue: il Cristo con Michele e Raffaele, due serafini o cherubini e dei piatti in terracotta decorata che simboleggiano l'ospitalità: da notare è il cotto intercalato dagli strati di arenaria, ricchissimi di fossili.
All'ingresso, sui capitelli del portale si scorgono figure antropomorfe.

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Sul portale un bassorilievo raffigura la Madonna in Trono con la colomba dello Spirito Santo, l'arcangelo Gabriele e un fedele prostrato in atto devozionale.
Varcata la soglia ci troviamo dinanzi ad uno stupendo nartece, unico nel suo genere in Piemonte, che divide l'atrio dalla chiesa attraversando tutta la navata, simile ad un porticato che poggia su cinque arcate sorrette da colonne con capitelli a foglie e gemme e raffigurazioni di colore azzurrognolo che narrano dei trentacinque patriarchi, antenati della Vergine. Osservandolo si ha l'impressione che sia dipinto con smalto mentre in realtà è di calcare lucido, sotto il bassorilievo si può leggere che l'opera fu compiuta durante il regno di Federico Barbarossa, e la data "1189".
Nell'antica liturgia i nartece fungevano da separatore per dividere i battezzati da chi non lo era ancora, spesso serviva anche a dividere i nobili che stavano all'interno della chiesa, dal popolo che rimaneva oltre questa sorta di parete divisoria ad indicare la loro inferiorità...
Molto bello il trittico quattrocentesco posto sull'altare e realizzato in terracotta policroma, che rappresenta la Madonna e il Bambinello con accanto Sant'Agostino e la figura di un uomo barbuto, in abiti regali, inginocchiato in segno di devozione, che molti dicono sia Carlo Magno, altri vogliono sia Carlo VIII re di Francia (una curiosità: Carlo VIII aveva sei dita dei piedi).
Ma l'Abbazia racchiude anche straordinari affreschi, incredibili quanto enigmatici.
Dalla chiesa una porta, molto bassa e stretta, conduce al chiostro dove nel silenzio meditavano i frati, appena discesi i gradini volgiamo lo sguardo a destra, e sul muro, in alto, notiamo la figura del Redentore: sguardo fisso, quasi distaccato da quanto lo circonda, ma basterà spostarsi di lato, o di fronte per accorgersi che quello sguardo enigmatico... ci segue!
Ci troviamo dinanzi al più bello e importante degli affreschi, datato al XIV secolo. La rappresentazione è divisa in quattro parti: In alto sta il Redentore con il suo sguardo emblematico e gli emblemi degli evangelisti, sotto notiamo la Sacra famiglia a Betlemme con i Re Magi in atto di adorazione e nella parte più bassa scorgiamo un altro magnifico quanto inquietante e misterioso affresco: dal sepolcro scoperchiato escono tre scheletri, mentre un personaggio visibilmente in preda allo "sgomento e inorridito", con alle spalle due cavalieri sbigottiti, osservano sgomenti e un monaco invita l'uomo a chiedere aiuto alla Madonna.
Il significato di questo affresco è sconosciuto, misterioso, alcuni dicono che raffigura la leggenda di Carlo Magno e della fondazione dell'abbazia, altri che i tre morti e i tre vivi si riferiscono alla tradizione medioevale del trionfo della morte: tipica della "danza macabra".
Belle anche le altre pitture che raffigurano cavalieri, guerrieri, santi, emblemi degli evangelisti, simboli nobiliari.
Nel silenzio mistico del chiostro si possono ammirare anche degli stupendi capitelli scolpiti con fregi e scene della vita della Vergine, dell'annunciazione, della visitazione, della nascita di Gesù. C'è anche la rappresentazione di un uomo che dorme e di un altro che scrive e per molti rappresenterebbe il sogno di San Giuseppe...
Un unico rammarico: è vietato scattare fotografie all'interno e in loco non c'è possibilità di richiedere il consenso, quindi anche avendone non potrebbero comunque essere pubblicate. Peccato, queste menomazioni all'informazione non portano certo benefici al turismo, inoltre tutti si disinteressano del divieto mentre gli unici ad osservarlo sono proprio quelli che le userebbero a favore del turismo contribuendo a pubblicizzare località e monumenti.
Ma l'Abbazia non è solo custode di storia e leggende e non manca un legame gastronomico che ci riconduce a "Golosaria".
Tra le leggende vi è quella della "bagna cauda", il tipico piatto del Monferrato.
La "bagna cauda" è un piatto contadino a base di aglio, olio e acciughe, tipicamente invernale da usare per insaporire le verdure di questa stagione come cardi, sedani, tapinabè (tubero di forma irregolare, dalla polpa bianca e gustosissima) e la polenta, ma ottimo anche con verdure estive come i peperoni, arrostiti.
Ma in questa località la leggenda vuole che invece dell'aglio si usasse il peperoncino piccante selvatico e che fosse stata servita a Carlo VIII di Francia, malato di vaiolo, proprio dal canonico dell'Abbazia, cerusico ed erborista, che con tale medicamento guarì l'imperatore. Questa guarigione fece guadagnare all'Abbazia lo stemma dello scudo rosso con i gigli dorati che compare nel trittico sopra l'altare e per ringraziare l'Abbazia lo raffigurò in un dipinto.
Storia e leggenda si fondono, realtà o fantasia l'unica certezza sta nel detto: "L'unica realtà è l'irreale!".


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