Incontri D'Autore

Gemellaggio tra il "Museo dei Cavatappi" di Barolo (CN)
e quello di Mènerbes (Francia)

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foto Matteo Saraggi

"Cavatappi di tutto il mondo alla conquista di Barolo", è il titolo della festa di "Gemellaggio tra il Museo dei Cavatappi" di Barolo (CN) e il "Musèe du Tire-Bouchon" di Mènerbes (Francia).
Si chiama cavatappi, ma qualcuno lo chiama leva tappi, stappa bottiglie, sturabottiglie o cavaturaccioli, in dialetto piemontese è il tirabuscion ma qualunque sia il suo nome l'utilizzo è quello di levare i tappi alle bottiglie e in particolare a quelle di vino.
Un piccolo utensile che conserviamo nel cassetto della cucina, quasi insignificante eppure indispensabile strumento domestico che utilizziamo quotidianamente, ma quanti di noi hanno mai pensato che anche questo oggetto avesse una sua storia e facesse egli stesso parte della storia della contadineria e della viticultura? Uno degli utensili la cui evoluzione anche se lenta e quasi impercettibile è anch'essa storia?
Nel corso dei secoli la parte a vite da avvitare nei tappi per estrarli è rimasta invariata mentre la fantasia ha generato nuove forme: a leva, ad avvitamento, con meccanismi semplici o più complicati e ha utilizzato nuovi materiali, dal legno al ferro, alluminio, ottone, bronzo, corno, o più preziosi in avorio, ebano, argento, oro. Spesso l'estro di artisti li ha decorati con fregi, decorazioni, persino figure umane, di animali o mitologiche, li ha resi piccoli e tascabili o grandi e non sono mancati quelli pubblicitari, nè le cartoline d'epoca e i manifesti pubblicitari che gli hanno dedicato ampio spazio sino a divenire una fonte di ricerca per gli appassionati collezionisti.

La passione per questo accessorio vanta collezionisti in tutto il mondo, libri che narrano la sua nascita,
l'evoluzione, e anche interessanti musei che ne raccontano la storia come questo a Barolo, in provincia di Cuneo.
Siamo in Piemonte, poco distante da Alba, capitale del Tartufo e ci troviamo in un'altra capitale quella del
pregiato Barolo, il re dei vini, che nel suo territorio di produzione racchiude perle vitivinicole d'eccellenza, come a Castiglione Falletto la "Cantina Gigi Rosso" uno degli ultimi patriarca del Barolo che con i figli Maurizio e Claudio prosegue la tradizione vitivinicola, senza dimenticare che Claudio è anche produttore di un eccezionale "Asì" l'aceto fatto... come una volta, e la "Cantina Terre del Barolo" che quest'anno ha compiuto 50 anni di produttività e oltre a produrre il re dei vini ogni anno è sede di un prestigioso "Premio tutto al femminile" come lo definisce il Presidente Matteo Bosco e ha premiato nomi prestigiosi come Carla Fracci, Margherita Hack, Luciana Littizzetto, Micol Fontana. A La Morra troviamo i "Poderi Oddero", marchio storico che dal 1878 produce il prezioso nettare, e le "Antiche Cantine Renato Ratti" produttore di vini che definirei "con l'anima filosofica" e nell'antica abbazia del XV secolo, dove i frati producevano il vino, ha creato un interessante museo.

A Grinzane Cavour si trova la "Cantina del Conte" situata in una antica casa accanto al possente castello e acquistata dai Pelissero dalla marchesa Adele Alfieri di Sostegno erede del conte Camillo Benso di Cavour, agli inizi del '900. Pochi chilometri ed entriamo nel territorio di Serralunga d'Alba percorrendo la strada che si inerpica sulla collina su cui sorgono i vigneti della storica "Tenuta di Fontanafredda" in cui nacque il Barolo, Fontanafredda è legata a Vittorio Emanuele re d'Italia e la "Bela Rosin".è Torniamo a Barolo per ricordare Bartolo Mascarello, una delle figure storiche, noto anche perchè amava disegnare a mano le proprie etichette e ora riposa tra i vigneti del cielo, soffermiamoci in questa località per conoscere altri due produttori locali: la "Cantina Giacomo Borgogno" che dal 1761 trasforma i grappoli di uva Nebbiolo nel pregiato re dei vini, e visitare la "Tenuta dei Marchesi di Barolo" un'altra cantina storica.

Dopo un breve accenno al prodotto enologico che prende il nome dalla località, "tappo dopo tappo" torniamo a Barolo per parlare di un singolare museo e di un gemellaggio vitivinicolo italo francese.
Dal 2006 accanto al castello, nei locali di una vecchia cantina si può visitare l'esposizione permanente di 500 cavatappi antichi, ma il Museo ha voluto anche celebrare un gemellaggio con il "Musèe du Tire-bouchon" di Mènerbes in Provenza (Francia) con un programma per gli appassionati collezionisti che ha visto anche i rappresentanti della Associazione Italiana Collezionisti Cavatappi, alcune Confraternite, le Delegazioni, e non potevano certo mancare gli scambi di doni naturalmente originali, curiosi ma... a tema... tire-bouchon e cavatappi!
http://www.museodeicavatappi.it/
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Mènerbes è tra i più bei paesi di Francia, sorge su uno sperone roccioso nella Provenza, sulle Alpi della Costa Azzurra, nel dipartimento di Vaucluse (Avignone) località nota per l'antico Dolmen risalente all'epoca preistorica. Gli scavi hanno riportato alla luce i resti di ville romane.
L'imponente cittadella fu costruita a partire dal XII secolo e i numerosi sotterranei dimostrano la fiorente attività del borgo nel Medioevo. Mènerbes fu anche un centro del protestantesimo tra i più importanti e per questo fu assediata dalle forze cattoliche reali. Fu anche capoluogo del cantone durante la Rivoluzione dal 1790 sino al 1801.

La località è nota anche per il legame della fotografa e pittrice Dora Maar con Picasso, di cui fu musa e amante (1907-1997).
Tra i monumenti da visitare si trovano la stupenda chiesa del XIV secolo con ricche decorazioni, il Castelet, piccolo castello, le belle dimore del Medioevo e del Rinascimento, l'Abbazia di Saint-Hilaire, monumento storico, e l'antico priorato dove San Luigi sostò al ritorno dalla Crociata.
Ma questa interessante località contiene anche un curioso ""Musèe du Tire-Bouchon", museo del cavatappi.
Barolo, piccolo comune nel territorio delle Langhe, poco distante da Alba, fu abitato in epoca preistorica dalle tribè nomadiè dei celto-liguri. Il primo vero insediamento ha origine barbarica e risale all'Alto Medioevo. Fu un dominio Longobardo, poi passè alla Contea di Alba e in seguito alla Marca di Torino, ovvero il territorio vassallo del Regno d'Italia e del Sacro Romano Impero che nel 1900 venne creato per gestire una momentanea mancanza di potere di casate nobili.
Il nucleo originario dell'imponente castello fu eretto come difesa dalle scorrerie dei saraceni durante il periodo di
Berengario I. Nel 1250 divenne possedimento dei Falletti la potente famiglia di banchieri che acquistò tutti i possedimenti di Barolo segnando le sorti della zona.

Nel 1300 i Falletti possedevano una cinquantina di feudi sparsi in Piemonte.
Verso la fine del 1400 Barolo fece parte dello Stato Monferrino, nel 1600 fu dei Savoia e nel 1700 divenne Marchesato di Gerolamo IV a cui seguirono il marchese Ottavio Alessandro Falletti e Carlo Tancredi alla cui morte governò la moglie, la marchesa Juliette Colbert di Maulòvrier, meglio nota come Giulia Falletti di Barolo, nata in Francia nel 1785 da una nobile famiglia e legata alla Rivoluzione che vide molti suoi parenti, appartenenti alle alte sfere dell'aristocrazia, giustiziati pubblicamente. Rimase orfana di madre in età tenerissima ed ebbe un'educazione raffinata.
Donna di rara bontà, colta, intelligente e di indole brillante conquistò il cuore del marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo che sposò nel 1806, ma rimase vedova nel 1838 in seguito alla tremenda epidemia di colera del 1835 di cui il marito subì il contagio perchè coinvolto nell'opera di soccorso prestata ai bisognosi.

Nel 1814 si trasferì a Palazzo Barolo di Torino, luogo di incontri dell'elite culturale e politica italiana, e li ospitò Silvio Pellico, reduce dalla prigionia nella Fortezza dello Spielberg (a Brno nella Repubblica Ceca) che nell'epoca risorgimentale divenne luogo di prigionia dei patrioti italiani.
Con il marito intraprese delle iniziative benefiche creando scuole gratuite e assistenza ai poveri, si occupò delle carcerate fornendo loro istruzione, vitto, abbigliamento e promuovendo l'igiene, cosa "poco in voga a quei tempi", trasformando il carcere in un istituto modello. A Torino fondò una scuola per fanciulle povere, un rifugio per ragazze madri e un asilo per i figli dei lavoratori... il primo in Italia.
Aprì un ospedale per bambine disabili, fondò una scuola professionale per le figlie di operai e una scuola di tessitura e ricamo, fece costruire la chiesa di Santa Giulia, la sua opera caritatevole giunse a Castelfidardo dove fondò un asilo, e a Lugo di Romagna con una casa per ragazze a rischio: non dimentichiamo che in quell'epoca la figura femminile era la più esposta ad ogni genere di discriminazione e sopruso...
Alla sua morte, non avendo eredi lasciò tutto all'Opera Pia Barolo (1864) che lo ristrutturò alterando la struttura e trasformandolo in un Collegio per ragazzi che non avrebbero potuto proseguire gli studi perchè in difficoltà economiche. Il Collegio rimase attivo sino al 1958. Nel 1970 fu acquistato dal Comune di Barolo che restaurò le cantine trasformandole in Enoteca Regionale del Barolo, mentre il secondo piano fu destinato a Museo Etnografico-Enologico.

Oggi l'imponente struttura del Castello dei Falletti di Barolo (visitabile) narra pagine di storia attraverso le stupende sale, la Biblioteca Storica curata da Silvio Pellico, che fu anche amministratore della Biblioteca e consigliere, e il Museo delle Contadinerie. Salendo si incontra il Salone delle Quattro Stagioni, un ambiente ampio e luminoso arredato fine impero, con le quattro pitture che sormontano le porte e danno il nome alla sala in quanto rappresentano ognuna una stagione.
Si prosegue per la Sala degli Stemmi così chiamata per il soffitto decorato con gli stemmi dei Faletti e delle famiglie imparentate. Molto bello il camino monumentale e una cinquecentesca decorazione in stucco: la sala è adibita a incontri culturali e manifestazioni.
La visita prosegue nella stanza della marchesa Giulia con un rarissimo letto in stile impero.
Visibile la stanza che ospitò Silvio Pellico durante il soggiorno a Barolo presenta uno strano effetto: i muri sembrano ricoperti dalla tappezzeria, mentre in realtà si tratta di un'abile pittura che simula l'effetto "tappezzeria", è anche visibile la Biblioteca che Pellico custodiva e ordinava in modo meticoloso e che conserva circa 3.000 testi che vanno dal XV al XIX secolo.
Caratteristico il borgo, con le stupende insegne dei negozi e gli affreschi sui muri.
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Dopo la presentazione delle località che ci hanno condotto sull'orlo... della bottiglia è doveroso presentare anche l'ospite: messer "Cavatappi".
Apparentemente sembrerebbe un oggetto semplice, in realtà si tratta di un oggetto che ha avuto una evoluzione
storica legata all'introduzione della bottiglia di vetro.
Inizialmente i contenitori in vetro servivano per conservare la birra e il sidro, boccette piccole erano usate per i
profumi e i medicinali, ma anche per l'inchiostro, mentre l'utilizzo come contenitore per il vino si ebbe solo
più tardi.

Un tempo i turaccioli di sughero erano a forma conica e quindi sporgendo si potevano estrarre semplicemente con le mani, ma poichè questo non assicurava una perfetta chiusura in grado di conservare il vino venne sostituito con tappi cilindrici che potevano penetrare completamente garantendo una chiusura ermetica della bottiglia.
Secondo una raffigurazione della metà del '400 il primo cavatappi avrebbe origine dal "punteruolo per stillare vino dalle botti", ma pare abbia anche origini "belliche" legate alle prime armi da fuoco ad avancarica e precisamente alla "verga attorcigliata", un attrezzo a spirale che veniva usato per rimuovere le palle di piombo incastrate nelle bocche dei cannoni e per recuperare la stoppa usata per pulire le canne delle armi da fuoco, non a caso, nel 1680 la Messrs Holtzapffel di Charing Cross, un'armeria inglese, ottenne il brevetto di fabbricazione di questo attrezzo, ben presto seguita da altre armerie, da fabbri e artigiani che iniziarono a produrre questa "vite per stappare le bottiglie".
Nel '700 i primi esemplari restano oggetti riservati ai ricchi e sono quasi un simbolo di prestigio e agiatezza, il loro pregio deriva dal materiale utilizzato per comporli, dalla bravura e notorietà dell'artigiano che lo elabora sino a creare dei preziosi oggetti artistici.
Si dovrà attendere l'invenzione delle macchine utensili per la lavorazione dei metalli per iniziare a riprodurli in serie, a minor prezzo, con meccanismi sempre più semplici e materiale meno costoso.

Il precursore dei moderni cavatappi con il classico anello che poggia sulla bottiglia facilitando l'estrazione del tappo e la vite che penetrando lo estrae, giunge nel 1795 grazie alla genialità del reverendo inglese Samuel Henshall che ne ottiene il brevetto.
Le origini del più moderno cavatappi ci giunge dal 1805 grazie a Thomason che brevettò un cavatappi con una vite applicata a cremagliera che faceva leva sul perno del cavatappi. La fine dell'800 ci porta dei nuovi modelli: a vite, con le due leve e ad avvitamento (come un vecchio macinacaffè), molto usato anche nella nostra penisola, sino agli anni '30. Uno strano cavatappi è quello a "rubinetto" dei primi dell'800. Si trattava di un cavatappi cavo e munito di rubinetto che si introduceva nel tappo e consentiva di spillare il vino dall'interno della bottiglia, proprio come quelli utilizzati per spillarlo dalle botti, ma indubbiamente poco pratico. Più ingombrante è quello da parete.
Nel corso dei secoli il cavatappi divenne anche un oggetto artistico, pregiato per le lavorazioni con metalli e pietre preziose, realizzato da validi scultori, incisori che ne fecero delle vere opere d'arte.
Sobrio ed elegante, semplice o stravagante oggi è un oggetto conteso dagli appassionati collezionisti che ogni anno frequentano le due più prestigiose case d'asta del mondo, tra cui la Christie's che è tra le piè famose, con filiali in tutto il mondo, anche in Italia, a Milano e Roma.
Cavatappi pieghevoli, smontabili, tascabili, grandi o piccoli, pratici, eleganti, raffinati, preziosi o semplicemente di ferro e legno eccoli giungere al 1838 quando nasce il cavatappi "modello a farfalla" e a "doppia vite", il tipo "americano" nel 1860, poi sarà la volta di quelli a manovella, a leva, da tavolo e da muro.

Probabilmente anche qualche italiano avrà inventato dei modelli di cavatappi, ma solo nel 1864 un Regio Decreto istituisce l'Ufficio Brevetti e quindi non ci è dato sapere nulla in data precedente.
Il modello più antico che si conosce, e anche il più comune, è quello a forma di "T", con la classica vite a spirale che penetra nel tappo e ne consente l'estrazione impugnando il manico e facendogli fare una rotazione; quello a campana, con le levette laterali: dopo aver fatto penetrare la spirale del cavatappi nel tappo la "campana" si appoggia al collo della bottiglia, quindi si alzano le levette e abbassandole estraggono il tappo; quelli moderni e tascabili la cui vite rientra in una sorta di manico, come un coltello da tasca.
Se tutti conoscono l'uso della "chatelaine", la catena per orologio da taschino, non tutti sanno che i gentiluomini fissavano alla catena dei morsetti a cui agganciavano quegli accessori tanto indispensabili da volerli portare sempre con se e che anche le dame usavano portare appesa alla vita una placca d'oro con i morsetti a cui appendere gli oggetti indispensabili e in questa specie di borsetta non mancavano i preziosi cavatappi, tanto belli e preziosi da essere considerati dei gioielli da sfoggiare.

La storia del cavatappi è iniziata nel XVII° secolo e da allora si è evoluta, perfezionata. Da complicato strumento è diventato sempre più pratico pur conservando la sua originaria semplicità di attrezzo ma impreziosendosi sino divenire un oggetto prezioso, elegante, originale e... di culto. Forse non tutti avranno capito la vera anima di questa semplice "vite per aprire le bottiglie", un attrezzo che per chi apprezza i piaceri della tavola e il buon vino aprire una bottiglia è quasi un rito che richiede dei movimenti particolari e che in quel semplice gesto di stappare una bottiglia di vino ne fanno un'arte così come arte sarà poi il versarlo nei bicchieri o nei calici, il portarlo alle labbra e assaporarlo delicatamente lasciando che il pensiero si accosti ai sapori, ai profumi sino a divenire un altro rito narrativo di emozioni e sensazioni da descrivere, narrare, e che nulla hanno a che vedere con l'ubriachezza ma...
... Ma questo à un'altro racconto!
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