Incontri D'Autore

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"Castelli con gusto" per scoprire il territorio
foto Matteo Saraggi

"Castelli con Gusto" è il titolo della manifestazione che la Provincia di Cuneo in collaborazione con il Comune di Saluzzo organizza con l'intento di far conoscere attraverso la storia le tradizioni enogastronomiche del territorio, promozionando un progetto che coinvolga i castelli e la gastronomia: un viaggio che attraverso il paesaggio, la storia, la cultura e il folclore conduca ai sapori.
L'anteprima per la stampa ha coinvolto un gruppo di giornalisti che sono stati guidati in un tour alla scoperta della bellezza di castelli e palazzi del Marchesato di Saluzzo senza tralasciare il ruolo trainante, l'enogastronomia perchè non si può parlare di turismo e gastronomia senza abbinarli, sarebbe come possedere una macchina... senza il motore.
Il tour ha coinvolto la città di Saluzzo e due splendidi castelli: la Manta e Lagnasco per poi terminare nella fortezza-prigione della Castiglia dove "dulcis in fundo" la giornata si è conclusa con le degustazioni dei prodotti del territorio.
L'incontro è iniziato a Saluzzo, presso l'Antico Podere Propano. La cascina è stata trasformata in un albergo di charme, a pochi minuti dal centro storico, un hotel a tre stelle collocato in una vasta proprietà agricola che il Marchese di Saluzzo donò ai frati Cistercensi di Mombracco nel 1525. L'accoglienza è quella della tradizione piemontese, cordiale e famigliare.
Inizia il tour e la prima tappa è il centro storico di Saluzzo con i palazzi medioevali, l'acciottolato, gli stupendi portali, la chiesa con sulla facciata l'enorme affresco di San Cristoforo patrono di viaggiatori, viandanti e pellegrini diretti nei luoghi santi. La sua figura, come in uso nel Medioevo, copre le facciate esterne delle chiese perchè doveva essere visibile da lontano, in modo che in caso di necessità o di pericolo il viandante potesse vederlo e affidarsi a lui per chiedere conforto e protezione, aiuto, o semplicemente per una preghiera.

Il Castello della Manta - la storia e la Madonna che Allatta

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Si parte per il Castello della Manta, piccolo paese poco distante da Saluzzo, il nome deriva da "manencia" (dimora).
Il possente maniero domina la cittadina dall'alto della collina. Frutto di sovrapposte o aggiunte costruzioni, il nucleo originale risale al XII secolo.
La sua fama è legata a Valerano. Nel XV secolo, Valerano, figlio illegittimo di Tommaso III marchese di Saluzzo, eredità il feudo della Manta (1416), con il borgo e il castello. Uomo colto, intelligente e raffinato si circondò di artisti e letterati. Ampliò il castello, creò un delizioso giardino esotico e fece decorare l'interno trasformandolo in una sontuosa e raffinata dimora quattrocentesca.
Appena entrati la prima tappa è il vestibolo. Le pareti sono interamente decorate con il motto della famiglia Saluzzo della Manta, "Leit" che significa "guida, condottiero".
Le prime cose che colpiscono sono il magnifico soffitto a cassettoni dipinti e lo stupendo affresco della "Madonna del Latte" che rappresenta la Madonna che allatta.

L'immagine della Madonna che allatta è una rappresentazione abbastanza comune nelle raffigurazioni non solo in Occidente ma anche in Oriente. Contrariamente a quanto si può pensare la sua presenza non significa che rappresenti la maternità o che alla sua immagine si rivolgano le partorienti o le donne desiderose di ottenere la grazia di avere un figlio, anche se nel Santuario Madonna delle Grazie o Beata Vergine delle Grazie, in frazione Curtatone, a pochi chilometri da Mantova, ho avuto modo di vedere gli insoliti ex voto appesi alla parete: "formelle" riproducenti cuori, mani, piedi, occhi, persino bubboni pestiferi e anche protesi, tra cui... seni femminili in cera, lattice (più recenti), ecc.
Un tempo l'allattamento al seno era l'unica risorsa per il neonato e in mancanza di latte per la sua sopravvivenza si doveva ricorrere alle "balie", mentre oggi le madri in difficoltà utilizzano il latte artificiale, quindi una parte di questi ex voto probabilmente sono frutto di guarigioni di donne con gravi problemi al seno, o per chiedere la grazia della guarigione.

Nel Medioevo il culto alle reliquie era molto diffuso e ogni santuario ne conservava, perciò molte non sono autentiche. La necessitò della Chiesa Cristiana di avere qualcosa che dimostrasse un'esistenza divina diede vita a quelle che sono le reliquie. Le Crociate contribuirono a riempire reliquiari con "pezzi" umani appartenuti a Santi e persino a Gesù e alla Madonna, ma nella maggior parte sono solo "souvenir" senza valore, diversamente certi santi avrebbero cinquecento gambe e altrettante braccia... e ognuno corredato di 300.000 abiti da cui tagliuzzare un pezzetto di stoffa per farne una reliquia da... vendere nei negozi di souvenir religiosi! La Madonna che allatta è anche "disponibile in versione di gocce di latte" che si dice sia appartenuto a Maria e conservate come reliquie, ma la chiesa non le riconosce come autentiche e si limita a conservarle, senza un'eccessiva venerazione.

Il latte a cui attinge il Bambinello è quello della Conoscenza, per questo la chiesa afferma che non si tratterebbe di vero latte, ma di reliquia della "Grotta del Latte", che sono delle cavitè sotto la basilica della Nativitè di Betlemme. La leggenda afferma che li si recava la Madonna per allattare Gesù e un giorno una goccia di latte cadde su un masso della parete di calcare facendolo divenire bianchissimo. I fedeli che si recavano nella grotta prendevano frammenti della roccia che poi polverizzavano e scioglievano nell'acqua da far bere alle donne con problemi di allattamento. Nel corso del tempo questa narrazione ha subito modifiche tanto da essere giunta a noi sotto forma di vero "latte", indubbiamente per interpretazione fantasiosa dei fedeli propensi a credere ad una vera reliquia, ma mettendo in difficoltà la chiesa che pur dovendo sottolineare la verità non voleva suscitare dubbi e malcontento nei fedeli.

La Sala Baronale: I Prodi e le Eroine

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Basta oltrepassare la soglia per trovarsi dinanzi a qualcosa di meraviglioso! La stupenda "Sala Baronale"con gli affreschi dove si può comprendere il profondo legame dell'aristocrazia con la cultura cavalleresca, i suoi codici d'onore, gli ideali e i miti.
La cultura "cortese" del Quattrocento è pressochè identica in tutte le corti europee, basta ricordare i castelli francesi e la moltitudine di castelli sparsi nella nostra penisola.

Valerano, profondamente colpito dalla raffinata cultura figurativa conosciuta durante i suoi soggiorni in Francia e in particolare da quelli delle corti di Carlo V e di Carlo VI, a Parigi, progetta il ciclo degli affreschi culturalmente simili a quelli che lo hanno colpito per la loro raffinatezza. Gli affreschi vengono attribuiti a quello che è chiamato "Il Maestro della Manta" e ricoprono interamente le pareti con figure a grandezza naturale che riproducono dame e cavalieri in abiti dell'epoca e fanno parte del ciclo di affreschi detto "Dei Prodi e delle Eroine", nove figure maschili e nove femminili.
Le figure, pur rivestendo gli abiti del Quattrocento appartengono alla storia e alla mitologia e sono quelli che compaiono nel romanzo autobiografico "Le Chevalier Errant" del padre Tommaso III di Saluzzo, scritto nel 1394. Il libro narra le vicende di un cavaliere alla ricerca della Conoscenza e che giunto dopo mille avventure al Palazzo di Madama Fortuna incontra i nove Prodi e le nove Eroine rappresentati sulle pareti della sala.
Tre sono le raffigurazione degli Eroi Pagani: Ettore di Troia, Alessandro Magno e Giulio Cesare.
Tre gli Ebrei: Giosuè , Re David e Giuda Maccabeo.
E tre i Cristiani: Re Artù, Carlo Magno e Goffredo di Buglione.
Le Eroine sono Delfile, madre di Diomede; le Amazzoni Sinope, Ippolita, e le regine Lampeto e Pentesilea (uccisa da Achille); Semiramide, regina di Assiria; Etiope, conquistatrice dell'India; Tamiri, regina degli Sciti; Teuca, regina degli Illiri.
L'individuazione avviene leggendo in basso i versi in francese antico che decantano le loro gesta.
Ogni personaggio è diviso da un alberello, sempre diverso, su cui sono appesi gli scudi araldici di ognuno di loro (le immagini sono di fantasia).

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Quasi tutti hanno in mano un'arma ad indicare la loro virtù guerriera, anche se qualche eroina è raffigurata con gesti di fascino femminile, come Etiope intenta a pettinarsi e con mezza treccia sciolta.
I sovrani sono raffigurati con le insegne del potere e alcuni hanno globi dorati (come gli imperatori); i re portano la corona aperta; per gli imperatori Giulio Cesare, Carlo Magno ed Etiope è invece chiusa da archi. Davide tiene in mano la fionda con cui uccise Golia e il libro dei Salmi.
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la Crocifissione

Su un'altra parete, in una nicchia si può vedere "la Crocifissione di Cristo", con i Santi Giovanni Battista e Quintino (rara immagine di questo santo).
Pochissime sono le testimonianze storiche che narrano la vita di San Quintino. Forse era romano, figlio del senatore Zeno. Pare che si fosse recato in Gallia (Francia) con San Luciano de Beauvais (missionario inviato da Clemente I, III sec. d.C.). San Quintino predicò il Vangelo di Cristo e per questo venne imprigionato per ordine dell'imperatore Massimiano acerrimo persecutore dei Cristiani.
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Torturato, non ripudiò la sua fede e venne condannato, ma riuscì a fuggire durante il trasferimento. Continuò a predicare il Cristianesimo finchè venne nuovamente catturato, torturato, decapitato e i miseri resti gettati nella palude della Somme (Francia - regione della Piccardia).

Ma la leggenda prosegue affermando che mezzo secolo dopo una nobile donna affetta da cecità recuperò la vista in modo miracoloso: seguendo un'ispirazione divina si recò sul luogo alla ricerca dei resti del santo, che emersero miracolosamente dalla palude emanando il tipico odore di santità. La donna seppellì il santo sulla cima di un monte e vi eresse una cappella per proteggere la sepoltura.

La Sala Baronale: La Fontana della Giovinezza

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Nell'altra parete troviamo il ciclo di affreschi della Fontana della Giovinezza.
Nel tardo Medioevo il mito della Fontana della Giovinezza si trova in diverse opere, specie nella letteratura francese del XII secolo e nelle miniature di inizio Trecento. Una fonte miracolosa che ha il potere di ridare la giovinezza e preservare dalle malattie è qui ripresa nelle tre fasi: il viaggio verso la fonte, l'immersione e il ritorno alla giovinezza.

Una moltitudine di figure umane e di animali popola l'enorme affresco, non mancano i viaggiatori giunti da lontano su cammelli, giraffe e altri animali strani. Chi a piedi, chi a cavallo, chi sul carro e chi sull'asino. Re, regine, dame e cavalieri, cardinali, musici, storpi come il paralitico sulla carriola tirata dal servo ubriaco,è il cavaliere che invita la titubante fanciulla ad appartarsi nel bosco, e altre scene di vita cortese, tutti sono comunque raffigurati in modo grottesco e pallidi come vuole la loro appartenenza alla nobiltà (il colore scuro era della povera gente, annerita dal lavoro nei campi, sotto il sole rovente). Non manca un corteo condotto da Valerano.
Chi si è già immerso ed è ringiovanito grottescamente esibisce la ritrovata giovinezza con compiacenti fanciulle. Altri vecchi faticano ad entrare nell'acqua, aiutati da chi ha già goduto della ritrovata forza.
La tradizione vuole che ai piedi dell'Albero della Vita, del Paradiso Terrestre, sgorghino quattro fiumi che si dirigono ognuno verso un punto cardinale, a simboleggiare il punto da cui tutto nasce e la sua espansione in ogni angolo del mondo.
Tutte le religioni narrano di fonti mistiche e l'acqua è simbolo del Battesimo, l'inizio della vita.

La Sala della Grottesche e il misterioso dipinto dell'Antartide

Stupenda, la "Sala delle Grottesche" con il soffitto interamente decorato si presenta in tutto il suo splendore.
Il termine "grottesche" deriva dalle "grotte" scavate sotto il livello del terreno, nelle ville romane, e ricoperte di decorazioni raffinate, scoperte durante gli scavi romani alla Domus Aurea effettuati nel Quattrocento.
I motti scritti sono equivoci, come a voler cercare il doppio senso.
In uso dai romani le immagini simboliche più ricorrenti sono i cavalli alati, la fenice, i serpenti, i draghi, bimbi nudi e cariatidi, i giardini fioriti o semplicemente i fiori e le ghirlande, frutta, maschere, dee e divinità simboli di abbondanza e fertilità.
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In questa Sala, al centro dei dipinti del 1500, si nota uno strano affresco che raffigura il globo terrestre con le terre emerse. La raffigurazione quasi perfetta delle coste del Pacifico è già un particolare strano, l'America appena scoperta nel 1492 non poteva essere già così ben delineata, ma il particolare piì misterioso e incredibile è la perfetta riproduzione dell'estrema propaggine della costa del Sudamerica, con quel lembo di terra che oggi sappiamo essere è il Continente Antartico. Come poteva essere delineato così bene l'Antartide in un affresco del 1500, non dimentichiamo che il primo avvistamento di questo immenso continente risale al 1890 ad opera di John George Bartholomew, cartografo scozzese. L'Antartide è il continente più meridionale, comprende le terre e i mari che circondano il Polo Sud che è situato nell'emisfero australe (a sud del Circolo Polare Antartico). Il territorio, disabitato, è completamente coperto da ghiacci che superano lo spessore di 1600 metri ed è il punto più freddo della Terra, l'unica presenza vivente sono muschi, licheni, alghe, foche, orsi, balene e pinguini.
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E' ormai dimostrato che l'America fu scoperta secoli prima che vi approdasse Colombo (12 ottobre 1492). Il navigatore genovese aveva probabilmente avuto modo di vedere delle vecchie mappe, qualche appunto o "sentito parlare" di questo continente sconosciuto.
Già nell'anno 870 i norvegesi si erano spinti oltre i confini per colonizzare nuovi territori e verso la fine del secolo Gunnbjèrn, o Gunnbjèrns, scorse oltre l'Islanda delle isole sconosciute che chiamò con il proprio nome "Rocce di Gunnbjèrn", ma per qualche motivo non le raggiunse, anche se ne segnalò la presenza e altri navigatori vollero intraprendere il viaggio alla loro scoperta.
Nel 978 Snaebjèrn Galti cercò di raggiungerle ma le notizie dell'epoca parlano di un disastroso fallimento.
Due anni dopo ci provò Erik il Rosso. Bandito dall'Islanda per un crimine commesso, Erik partì alla scoperta di queste terre di cui aveva sentito parlare. Per tre anni navigò lungo i fiordi e raggiunse la Groenlandia, poi tornò in Islanda per reclutare uomini disposti ad intraprendere un viaggio per colonizzare questi territori. Iniziò l'impresa nel 985 al comando di 25 vascelli con a bordo 800 islandesi e una moltitudine di bestiame, ma solo 14 vascelli superarono le difficoltà della traversata portando i Vichinghi nella terra degli Inuit (Eskimesi), la popolazione locale.
Da qui fu più facile raggiungere l'America.


A convalidare queste affermazioni non mancano reperti archeologici di provenienza vichinga rinvenuti in America e datati intorno all'anno 1000.
Bjarni Herjulfson nell'anno 1000 approdò a Capo Nord nei pressi dell'attuale Boston, come si legge nel diario di bordo, per vedere le misteriose terre descritte da Leif Eriksson (figlio di Erik il Rosso giunse a Terranova e poi costeggiò il Labrador sino a Boston).
Ci provò anche il fratello di Leif, Thorvald con 30 uomini, ma morirì in uno scontro contro gli indigeni locali, e anche Thorsteinn, un altro fratello, con la moglie e 25 uomini tentò di raggiungere il luogo in cui era sepolto il fratello, ma la furia del mare lo fermò, ci proverò anche Freydis, la sorella, ma si dice che il piano fallì a causa della crudeltì della donna e per altri motivi legati alla sete di potere.
Un ricco islandese emigrato in Groenlandia, Thorfinn Karlsefni, volle seguire le orme di Erik il Rosso e impossessarsi di quei territori. Con tre vascelli, 150 persone e il bestiame, raggiunse la sua meta dove si fermeràò per un anno, ma in seguito alle aggressioni dei nativi tornerà in Groenlandia.
Marco Polo nel 1295 aveva una mappa che dimostrava di essere già stato in America. Conservata nella Biblioteca a Washinton, si può notare disegnata una nave con uno stemma, le cui lettere incrociate danno il nome di Marco Polo: pare quindi che anche il veneziano arrivò in America prima di Colombo.

Ma ci sono anche altri probabili scopritori, come l'ammiraglio Zheng He che scoprì l'America nel 1418, 74 anni prima di Colombo.
E la famosa carta di Piri Reis, redatta in turco, disegnata nel 1513 da Piri Re'is Ibn Aji Mehmed, in cui l'autore afferma che Colombo era venuto a conoscenza di questa terra scoperta molti secoli prima, aggiungendo che le notizie risalivano a documenti databili al tempo di Carlo Magno e che altri raggiunsero il Continente americano prima di lui: i Vichinghi, Nicolas Giuvan (portoghese), Antonio il Genovese e tanti altri.
In base alle descrizioni dei territori e ai nomi, gli studiosi affermano che queste terre erano la Terra di Baffin, il Labrador e un altro luogo non ben identificabile, ma comunque del Nord America.

Ma Colombo o i Vichinghi non furono gli unici europei ad avere attraversato l'Oceano per sbarcare in America, pare vi giunsero anche i Cavalieri Templari, i Celti e i Fenici.
Qualcuno afferma che vi giunse anche San Brandan, nel Medioevo.
Da recenti scoperte pare che già 10.000 anni fa il popolo siberiano attraversò lo Stretto di Bering che allora era completamente ghiacciato, colonizzando l'Alaska e tutta l'America. I primi "colonizzatori" giunti dai paesi asiatici risalgano a circa 12.000 anni fa. Dalla Polinesia giunsero durante la glaciazione 40.000 anni fa, ma c'è anche chi ipotizza che vi giunse l'Uomo di Neanderthal.
Colombo fu solo il primo che ne parlò, iniziando la lenta colonizzazione, favorendo l'economia europea e la politica dell'estensione e della conquista, ma non portò solo oro e argento, ricchezza e potere all'Europa, o mais, patate, pomodori, cacao, tabacco.
Non dimentichiamoci dei... Conquistadores!
Cortès sterminò Montezuma e l'impero Azteco, Pizarro gli Inca e ricordo di avere letto da qualche parte delle cronache dell'epoca, di Diego di Landa, sacerdote cristiano con l'animo dell'inquisitore... che scriveva di cadaveri delle donne Maya appese agli alberi e alle loro caviglie i figli appesi per il collo. Arti mozzate per... provare le lama delle spade. Prigionieri trascinati con la corda al collo e se non avevano il passo lesto gli mozzavano la testa per non perdere tempo a slegarli.
La tela con la Sacra Sindone

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Una Galleria con affreschi mitologici raffiguranti Cadmo e il Drago, Ercole e l'Idra, Perseo e la Medusa, Ulisse e Polifemo, Giasone e il Drago, Medea, gli Argonauti, Enea, conduce ad una camera da letto con intonaco cinquecentesco, soffitto ligneo decorato con le iniziali del committente e con fregi dorati.
Al centro vi è un letto a baldacchino, dell'ottocento, con la tipica alzata come cuscino perchè la credenza superstiziosa affermava che "coricati riposano solo i morti". Bello e prezioso il pavimento cinquecentesco, in stucco rivestito di polvere di marmo.
Su una parete una bella tela settecentesca che raffigura San Carlo Borromeo che venera la Santa Sindone. Curiosa la storia che afferma della richiesta in prestito della Sacra Sindone conservata a Chambery (Francia) e mai restituita grazie ad uno strattagemma... divertente.
La prima tappa del nostro viaggio nel Tempo termina qui, ma se mi seguirete entreremo nei misteri del Castello di Lagnasco per scoprire il suo esoterico messaggio, poi apriremo le celle della fortezza-prigione della Castiglia e assieme continueremo verso altre terre misteriose alla scoperta del nostro passato perchè, come dicono "I Signori Grigi" di Momo: "Passato, presente, futuro, sono solo illusioni di chi sta sognando un sogno, seduto sopra il ciglio di un ponte sull'eternità"...

http://www.fondoambiente.it/beni/castello-della-manta-beni-del-fai.asp

http://www.castelliaperti.it/pagine/ita/scheda.lasso?-id=97
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