Partiamo

 

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Un viaggio per “conoscere” Volterra.  

Si può dire di conoscere Volterra solo dopo una lunga frequentazione e dopo avere anche avvicinato, conosciuto e compreso i suoi abitanti. Ed è stato così che uno scrittore di fama internazionale, che ha dato tanto di sé alla città di Volterra e di cui si è da poco celebrato il centenario dalla nascita, Carlo Cassola (cui è intitolata una strada a Volterra), ha saputo esprimere in molti dei suoi numerosissimi libri, il carattere un po’ schivo, ma sincero, appassionato e volitivo dei suoi abitanti, molto legati fra loro.

Un tale legame si poté notare appunto nei numerosi eventi che la città celebra di continuo e vorrei qui ricordare una bella mostra di pittura che visitai anni or sono, ma che mise in luce non solo la bellezza della città e del territorio, ma anche la semplice, ma direi “orgogliosa” consapevolezza dei suoi abitanti. ed ai suoi abitanti. Si trattava della esposizione, che organizzarono a Volterra i figli della pittrice Anna Cassola Vitafinzi. Ella aveva soggiornato a lungo ai “Marmini” di Volterra durante la guerra e poi, ogni estate, con la famiglia, non solo aveva raffigurato angoli della città e del paesaggio circostante, ma soprattutto aveva ritratto le persone, coloro che a quel tempo erano bambini e poi ragazzi, che vi erano cresciuti e che, in occasione della mostra, hanno avuto la gioia di riconoscersi e quindi sentirsi partecipi e presenti come parte integrante della loro bella città.

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Avvicinarsi a Volterra gradualmente tra dolci colline, verdi prati, oliveti, poderi e casali, ha sempre affascinato i viaggiatori, gli artisti, i poeti e gli scrittori, offrendo alla vista un paesaggio davvero unico celebrato ampiamente anche da Stendhal per la bellezza della natura.

Il territorio che accolse Etruschi e Romani, Guelfi e Ghibellini, sempre affermando la propria, orgogliosa e consapevole ricchezza, dà immagini molto varie: in un raggio di pochi metri si possono incontrare calanchi aridi e scoscesi e poco oltre boschi fittissimi di macchia, filari di cipressi su crinali che si affacciano sulle strette valli che l’acqua dei piccoli fiumi e dei torrenti hanno scavato.

Ed è così che il paesaggio, con le sue numerose tonalità di verde interrotte solo dallo splendore argenteo degli ulivi, da sempre si è offerto spontaneamente al pennello dei pittori. Pensiamo così ad esempio a Jean-Baptiste Camille Corot: era il 1834 quando il pittore francese, che soggiornò quattro anni a Volterra, fece ammirare tutto ciò al mondo della cultura del tempo attraverso le due famose tele che sono oggi conservate al Museo del Louvre a Parigi. Egli colse proprio quella particolare luce che si può apprezzare tra i silenzi poco prima del tramonto, in una sospensione irreale in cui l’uomo tuttavia si sente vicinissimo alla Natura.

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Ma percorriamo oggi, in macchina, la parte finale dell’itinerario che, lasciata la superstrada, dopo Colle Val d’Elsa, ci farà immergere in questo paesaggio davvero “unico”. Si lascia “Colle bassa” dove si trovano le fabbriche del cristallo, si costeggia Colle alta e subito si comincia a salire sulla collina. Il paesaggio cambia ad ogni curva della strada: la zona è boscosa e alterna punti panoramici aperti sugli ampi spazi campestri a percorsi più chiusi dalla boscaglia. Si incontra subito il borghetto di Campiglia (una delle tante Campiglie che si trovano in Toscana), poi la strada scende nella vallata costeggiata da pioppi e platani, poi risale e si va avanti tra sali e scendi e curve più o meno strette fino al bivio con la provinciale che in 16 Km porta a San Gimignano.

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Proseguendo invece sulla statale 68, dopo 4 o 5 km vediamo sulla sinistra il rudere dell’antica torre di Montemiccioli che se, fino agli anni ’70 si mostrava ancora abbastanza alta, con uno spigolo che emergeva come un dito puntato in alto, ora, erosa dal tempo, mostra soltanto il troncone tozzo della torre, con, a fianco, l’omonima fattoria. E attraversando varchi e colline, la contemporaneità viene incontro al viaggiatore attraverso le sculture di Mauro Staccioli, da alcune delle quali “si traguarda” il paesaggio in modo originale e inconsueto.

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Ed ecco apparire, dopo aver lasciato il succedersi delle stupende, notissime “Balze”, in lontananza, ma netto, ben disegnato sulla sommità del colle, il profilo di Volterra dominato dalle linee della fortezza, austera, con il suo mastio possente.

Lasciamo quindi, ai “Ponti”, la macchina nell’ampio garage e dallo slargo che si affaccia a destra sulla città, con il profilo delle prime case e del battistero, osserviamo con stupore l’ampiezza di quel paesaggio che ammirò anche D’Annunzio quando vide…” lontanar le Maremme febbricose e i plumbei monti, e il Mar biancastro e l’Elba e l’Arcipelago selvaggio…” Ospitato all’Hotel Nazionale, che ne ricorda il passaggio in una targa sulla facciata esterna, forse da lì il Poeta si recava verso il cuore della città, la piazza dei Priori.

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Oggi sede del Comune, il palazzo appare assai modificato nel tempo, ma si presenta pur sempre, nel suo complesso, quale testimonianza pregevolissima di una città medievale. A destra possiamo percorrere la Via Guidi e più avanti, a sinistra, possiamo scendere verso le mura per ammirare la Porta all’Arco, una delle porte della cinta muraria etrusca.

Ma proseguiamo ancora per via Guidi, fra storici palazzi molto ben restaurati, con la splendida pietra toscana: palazzi sontuosi come il Somaini o il Palazzo Viti, con la sua bella facciata attribuita all’Ammannati ed i suoi interni arricchiti da splendide collezioni di alabastri ed anche un piccolo teatro, che ancora oggi accoglie concerti e spettacoli di prosa.

Come si percepisce, soggiornando anche pochi giorni in città, i Volterrani amano l’archeologia, ma anche la musica, il teatro e tutto ciò che è cultura. E così ora, uscendo da Porta Fiorentina, alla nostra sinistra ammiriamo il grandioso teatro romano, che mantenuto in essere da continui restauri, accoglie spettacoli classici ad ogni stagione estiva.

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E prima di proseguire e scendere in linea retta verso quell‘ area in cui numerose si rinvennero le bellissime urne etrusche (da cui il nome “Marmini” assegnato alle tenute sottostanti), andiamo a visitare uno dei più antichi Musei pubblici d'Europa, nato nel 1761 quando il nobile abate Mario Guarnacci donò al "pubblico della città di Volterra", insieme con 50.000 preziosi volumi, il suo grande patrimonio archeologico, raccolto in anni di ricerche e acquisti.

Ma proseguiamo ora “a diritto” e, superata la Porta Diana (altra porta etrusca) raggiungiamo dapprima, sulla destra, il cantiere di scavo, recentemente aperto dalla Soprintendenza, per portare alla luce un anfiteatro romano. Continuando a percorrere questa via ecco che si susseguono casali assai curati, da proprietari attenti che tengono in vita con molta passione le proprietà ricevute dagli avi, dimostrando anche in questo un certo “orgoglio” cittadino che si è sempre distinto nei secoli, non accettando mai compromessi o lusinghe da altre città toscane.

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Ma non si può lasciare Volterra senza accostarsi a qualche bell’oggetto in alabastro, quella roccia così particolare di origine gassosa (solfato di calcio) che si presenta in aggregati concrezionati, deposti in ambienti sotterranei da acque particolarmente dure. L’alabastro è stato sempre una grande ricchezza del territorio ed è affascinante visitare i tanti laboratori e le botteghe, che li presentano ai visitatori. Una di esse è anche allestita all’interno dell’Ecomuseo che si trova in via Sarti accanto alla Pinacoteca, con opere d'arte sia antiche che di artigiani contemporanei.

Foto: ©Mauro Cassola


archivio

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