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Inaugurata la stagione dei tartufi con un clima autunnale ideale per lo sviluppo del prezioso tubero, piogge e tempo mite, il Covid ci ha messo la zampina e così dopo un timido inizio di stagione le fiere del tartufo così come le tante altre sagre enogastronomiche tipiche di questo periodo dell’anno hanno deciso di rimandare tutto al 2021.

In Sicilia, anche le uniche due città appartenenti all’Associazione Città del Tartufo, Castelbuono e Capizzi, hanno cancellato le loro manifestazioni che attiravano nelle due cittadine siciliane migliaia di visitatori estimatori del diamante della cucina italiana e delle tante altre eccellenze siciliane.

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Castelbuono è una cittadina dalle antiche origini racchiusa intorno al Castello dei Ventimiglia (che conserav quel capolavoro che è la cappella Palatina opera dei fratelli Serpotta) e borgo autentico d’Italia all’interno del Parco delle Madonie, già nota per essere il paese dove la raccolta differenziata si fa con gli asini, una scelta fatta dal Sindaco Mario Cicero già diversi anni fa per ovviare alla difficoltà di percorrere con un mezzo a motore gli stretti vicoli cittadini e avviare l'amministrazione verso un sistema alternativo di gestione. 

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La manifestazione che a Castelbuono valorizza il tartufo oltre alle altre eccellenze del territorio è “Dolcemente Castelbuono”. E’ un festival di delizie, dolci, tartufi e artigianato della tradizione popolare siciliana che si svolge in dicembre con lo scopo di valorizzare le peculiarità del territorio e il tartufo delle Madonie, un’eccellenza di cui si è scoperta la presenza all’interno del Parco solamente nel 2001. 

L’evento, che in questo 2020 non potrà avere luogo, è uno dei più apprezzati dell’anno e richiama migliaia di visitatori che affollano le vie cittadine dove sono in esposizione le eccellenze del territorio, come i funghi: porcini, ovuli e il basilisco o pleurotus nebrodensis, una qualità tipica del Parco delle Madonie (anche se il nome si richiama ai Nebrodi perchè anticamente le Madonie venivano considerate parte dei Nebrodi), che si possono gustare al Ristorante Antico Baglio di Natale Allegra o da Giuseppe Carollo che con la figlia Francesca gestisce il Ristorante Nangalarruni, due tappe gastronomiche locali di tutto rilievo.

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Ma la più importante eccellenza del territorio oltre al tartufo è la manna, un unicum molto diffuso un tempo in diverse aree della Sicilia ed ora presente unicamente a Castelbuono e nella vicina Pollina.

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La manna è una secrezione che si ricava dall’incisione della corteccia del Frassino, un prodotto destinato a scomparire come ci racconta il giovane Mario Cicero che dopo un periodo all’estero ha deciso di tornare nella sua terra per diventare guida del parco con l’associazione “nature explorers sicily” (chiedetegli di accompagnarvi a vedere gli agrifogli giganti di Piano Pomo, esemplari unici al mondo alti oltre 15 metri) e di riprendere la produzione della manna.

La manna non è soltanto un prodotto legato all’episodio biblico degli ebrei erranti nel deserto ma ha numerose proprietà benefiche come sostituto dello zucchero per i diabetici, digestivo, lassativo rinfrescante, regolatore intestinale e ingrediente importante nella cosmetica. Dopo anni di oblìo, grazie a giovani coltivatori come Mario sta rinascendo a nuova vita ed è stata inserita dal Ministero delle Politiche Agricole nell’elenco dei prodotti tradizionali e riconosciuta come Presidio Slow Food.

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Durante Dolcemente Castelbuono ovviamente non può mancare la frutta martorana e un assaggio del Panettone di Nicola Fiasconaro, il pasticcere di Castelbuono che dopo esser andato a bottega dai migliori pasticceri siciliani e frequentato scuole specializzate nel nord Italia, è tornato a casa con l’idea di dare una svolta all’azienda paterna iniziando a produrre in Sicilia il panettone, di cui aveva imparato la ricetta all’Accademia delle Arti Culinarie di Verona. Una sfida, quasi una provocazione in un’isola dove a Natale si mangiavano altri tipi di dolci, e proprio a Castelbuono dove il dolce tradizionale è la Testa di Turco, un dolce al cucchiaio simile al biancomangiare arricchito di sfoglie fritte simili a quelle del cannolo nato per festeggiare la vittoria dei normanni sugli arabi.

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Nicola iniziò con il panettone classico, e dopo una positiva accoglienza, cominciò a introdurre le varianti, arricchite tutte rigorosamente con ingredienti tipici siciliani. L’anno scorso l’azienda ha sfornato, nel vero senso della parola, 1 milione e 350 mila kg di panettoni esportati in tutto il mondo con un fatturato di 22,5 milioni di euro. Dà lavoro a 150 persone e il piccolo stabilimento alle porte di Castelbuono non basta più e se ne sta costruendo uno più grande per rispondere alla crescente richiesta. L’ultima creazione? Il panettone ai petali di rosa e crema di fichi d’india. Un abbinamento a dir poco singolare nato in tempo di Covid, quando Nicola era chiuso in casa per il lockdown e ha cominciato ad impastare aggiungendo al panettone quello che aveva in quel momento, una confettura di fichi d’india, tipicissimo prodotto siciliano, e i petali delle profumatissime rose damascene che stavano fiorendo in giardino.

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L’unica altra località siciliana che oltre Castelbuono può fregiarsi del titolo di città del tartufo è Capizzi, un piccolo borgo all’interno del Parco dei Nebrodi, la più grande area protetta siciliana. Il Parco conta al suo interno il Bosco della Tassita, dove vegetano alcuni degli alberi monumentali, tassi, aceri montani, faggi, più antichi della Sicilia e, oltre all’aquila reale e ai grifoni, altre 130 specie di animali selvatici, come il suino nero dei Nebrodi, un maiale di taglia piccola e completamente scuro. Salendo da Caronia verso Capizzi è facile vederne alcuni esemplari che pascolano allo stato brado tra le colline del parco.

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Capizzi è a 1100 metri di altezza e d’estate l’aria è fresca e fa dimenticare il caldo e l’afa caratteristiche della costa siciliana. Da quassù lo sguardo abbraccia un vasto panorama che parte da Cerame, il paese su cucuzzolo di fronte a Capizzi, e arriva fino in vista dell’Etna e nelle giornate limpide fino al mare. Anche Capizzi come Castelbuono è città del Tartufo e quest’anno in ottobre la prevista settima edizione della sagra del tartufo dei Nebrodi non ha potuto avere luogo. Attirava ogni anno oltre 20mila visitatori, estimatori dei tartufi locali, come lo scorzone o tartufo estivo, l’uncinato, o tartufo nero d’inverno, e il bianchetto.

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Ma non solo questi, perché la sagra di Capizzi è l’occasione più propizia per promuovere la riscoperta e valorizzazione dell'artigianato locale come i cesti tradizionali fatti ancora a mano e i prodotti tipici locali, come i formaggi, la provola stagionata e il caciocavallo, celebrato con una ricetta tipica, il “caciocavallo impiccato”, oppure i salumi, tra cui quelli di suino nero, gli arancini, i numerosi sottoli e sottaceti prodotti dalle massaie oltre alla carne, proveniente da animali allevati allo stato brado, senza dimenticare, dulcis in fundo, i dolci, una vera delizia, preparati con le mandorle, come i bianchi lumericchi, o gli iniuri, scuri perché le mandorle sono tostate.

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Insieme al tartufo la gastronomia di Capizzi è la vera protagonista di questa sagra famosa in tutta la Sicilia ed è un notevole volano per la promozione del territorio, delle bellezze paesaggistiche e storico-artistiche racchiuse negli imponenti palazzi nobiliari del centro storico e per conoscere le tradizioni locali, come la festa di San Giacomo che nel mese di luglio anima e riempie fino all’inverosimile le strette vie della parte antica di Capizzi.

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La festa, terza in Sicilia per importanza dopo quella che si celebra a Catania per S. Agata ai primi di febbraio e quella di S. Rosalia a Palermo a metà luglio, attira ogni anno oltre 40mila visitatori. I festeggiamenti hanno inizio il primo luglio con lo sparo dei mortaretti e si protraggono per tutto il mese con la novena e altri momenti importanti come il corteo storico, la processione con la reliquia di San Giacomo arrivata a Capizzi nel 1426 grazie al nobile Sancho de Heredia, e culmina nel tardo pomeriggio del 26 luglio quando la statua del santo insieme alla reliquia viene portata in processione per le strette vie del paese tra ali di folla che si aprono per permettere al fercolo di passare. Qui la devozione si tocca con mano, e chi non si trova a Capizzi il 26 luglio durante la processione può farsene un’idea visitando la Chiesa di San Giacomo dove può ammirare la statua che viene portata in processione e la ricchezza del sontuoso fercolo.

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Tornando alla processione del 26 luglio, questa raggiunge infine la piazza dove avviene il tradizionale rito dei miracoli, che consiste nell’abbattere, con l’estremità delle travi che sorreggono il fercolo, il muro di una casa a fianco della chiesa di Sant’Antonio. E’ questo in effetti un rito abbastanza curioso di cui non si riesce a offrire una interpretazione storica per mancanza di documentazione ma la tradizione vuole che dove oggi si trova la casa ci fosse in realtà un tempio pagano che la popolazione demolì quando il cristianesimo prese il sopravvento sul paganesimo diventando la religione ufficiale. E' comunque certo che, come molte altre feste estive comuni a tutto il territorio italiano, è anche una festa legata al raccolto e al culto della terra. Si vuole infatti attribuire molta importanza al numero di percosse con cui il muro viene abbattuto: se è di numero pari il raccolto sarà abbondante e assicurerà la sopravvivenza della comunità durante i freddi mesi invernali, se invece il numero di percosse sarà disparo ci si dovrà preparare a carestie, calamità e disgrazie di ogni genere. 

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DOVE SOSTARE:

B&B Villa Letizia, Via Isnello s.n.c. Castelbuono - www.bebvillaletizia.it

Agriturismo F.lli Iraci Fuintino, SP 168 Capizzi, km. 38

NOTA PER I CAMPERISTI

Entrambi i paesi sono attrezzati per la sosta con i veicoli ricreazionali.

Castelbuono è presente un'Area Attrezzata su sterrato con carico, scarico, corrente in Via Giuseppe Mazzini a due passi dal centro del paese. N37.937930 E 014.094244

A Capizzi un Parcheggio in Via Roma all’ingresso del paese. N 37.850698 E 014.483878


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