Incontri D'Autore

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Parole, parole, soltanto parole...

foto Matteo Saraggi

Siamo in un'epoca in cui gli italiani non sanno più... parlare italiano e così si americanizzano anche le parole che fanno parte della nostra cultura e ci fanno sentire stranieri in casa nostra!
La vecchia abitudine italiana di andare al bar a prendere un caffè con la brioche o l'aperitivo con i salatini, la pausa di ristoro tra un convegno e un congresso, è diventato il coffee break! E che dire della prima colazione abbondante che una volta era un pranzo e ora è divenuto il brunch e il benvenuto si scrive... welcome.

Ma non basta, per dire aperto o chiuso dobbiamo dire open o off e così le porte diventano "off"... limite per chi ha superato gli anta e passa (... anta e più) e soffre di esterofobia come me!
I paroloni, si, proprio quegli straparoloni, timing, opening, desk hostess, hanno stuzzicato la mia curiosità e così felice del belief spirit e della dark room, eccomi tra la neve che comincia ad imbiancare un'autostrada dove tutti vanno di fretta ad impaccarsi contro il guardrail e i tir gareggiano a chi occupa per piùtempo la corsia di sorpasso.

Accidenti! Il pieno di gasolio è aumentato, il pedaggio autostradale pure, e chi mi ha invitata vuole anticiparmi l'orario di accredito per l'educational, il workshop: ma non era più semplice dire l'evento! E così devo partire prima di pranzo e fermarmi in qualche ristorante il più vicino possibile al luogo dell'incontro, sperando che poi qualche pietanza non accompagni il mio stomaco per tutta la giornata.
Interminabile ricerca di un locale in una città che non conosciamo, molti sono locali etnici, altri presentano all'esterno luccichii, insegne, adesivi di guide gastronomiche appiccicate sulla porta, camerieri che paiono degli ammiragli-gallonati, ma l'esperienza mi insegna che non sempre tutto ciò che luccica è oro. Finalmente vediamo una scritta apparentemente invitante:è "Cucina tipica" e decidiamo per questo, non abbiamo trovato di meglio, ma nel varcare la soglia mi auguro di non dovermi chiedere se c'è di peggio?.

L'ambiente è normale, forse un po' troppo banale in proporzione alla presentazione esterna, normale anche l'accoglienza, il locale sembra pulito. Ci fanno accomodare e subito portano la lista dei vini e il menù. Scegliamo due antipasti, primo e secondo, non amo i dolci e nessuno di quelli del menù mi attira, niente vino per timore dell'etilometro. 
La presentazione delle portate è quella della cucina tipica, scritta a mano e non con il computer, ma su questo non mi formalizzo visto che non devo mangiarmi il menù: quello che conta è il sapore dei cibi.
Alcune cose mi sembrano banali, nulla di tradizionale o tipico: minestrone, spaghetti al ragù, milanese e bollito li posso mangiare a casa, per tipico avrei preferito qualcosa di diverso, con più fantasia, la cucina tipica mica si ferma a queste banalità!

Definire le portate insapore è solo un eccesso di tolleranza, questi non sanno nemmeno fare un risotto e un brasato, gli affettati sono da supermercato e nemmeno di qualità, i bocconcini di formaggio sott'olio sono conditi con olio che le olive le ha viste solo in cartolina... 
Pane e i grissini sono passabili, ma solo perchè non li ha fatti il loro chef e alla fine stendo un velo pietoso sul conto che, dal quantitativo di sale, il pranzo da insipido diventa salatissimo! Odio l'arroganza di chi si definisce chef e in realtà non sa nemmeno quale è la differenza tra chef, cuoco, massaia e gliela spiegherei io: fondamentalmente la differenza non c'è! Sta semplicemente nel... saper cucinare!

Ed eccoci al punto d'incontro: si parte con l'esterofobia e la prima parola è il timing e che significhi "evento" l'ho imparato a mie spese: sentendomi un troglodita ho curiosato in internet. Sfoglio disperatamente il traduttore per scoprire che "apertura dell'evento" si dice opening e cerco il tavolo del desk hostess, il servizio hostess, dove dovrei firmare la liberatoria sull'uso delle immagini, ma a che serve in una manifestazione proprio non lo capisco, non viola la privacy! Il prossimo dilemma linguistico è il dark room che è la sala appartata e in molti locali viene utilizzata per incontri intimi, qui serve per il belief-spirit che tradotto dovrebbe essere quella cosa che ha ispirato il creatore di questo impero enoico e con gli altri colleghi ascolto la sua storia nei pod shuffle i piccolissimi auricolari collegati ad un aggeggio piccolo come un accendino e da fissare alla giacca mediante un sorta di molletta. Interessante, pregusto già quando a casa lo riascolterò per prendere gli appunti da usare nei miei articoli! Invece la dolcissima fanciulla molto premurosamente se li riprenderè prima ancora che abbiamo finito l'ascolto: ma che se ne faranno, igienicamente sono praticamente inutilizzabili.

Controllo la cronologia del percorso, e il lungo elenco di belief, workshop, booklet, mi fa pensare che la prossima volta dovrò munirmi di un traduttore simultaneo o di una interprete! 
Iniziano le sessioni in cui i gruppi di lavoro dovranno cimentarsi in una gara di bravura.
Pare che metterci nella giuria dei giornalisti sia stato un modo di dimostrarci che eravamo ospiti di riguardo: peccato che di giornalisti c'eravamo solo noi due (io e il mio fotografo, giornalista) e una giovane di un giornale locale, e ora che so come funziona questo workshop mi è facile immaginare come mai i giornalisti disertano: al prossimo invito non sarò così masochista da tornarci, diserterò anch'io e... avanti il prossimo...

Ad ogni esibizione creativa ci avviciniamo per l'assaggio... all'unico bicchiere da cui dovremmo attingere in tre: io, la giornalista e l'ospite barman, mentre il mio fotografo scatta foto a ripetizione! L'ospite, uomo del mestiere, bagna una cannuccia e porta alle labbra una goccia del contenuto e da un giudizio con una sola goccia... 
Perbacco, con una goccia elencherà il dna di tutti gli ingredienti, le dosi, e molte altre cose! 
Ed eccoci al goodbye, sull'invito si parla di consegna dell'attestato di partecipazione, del brand booklet ovvero la marca e qualcosa da usare, del gift che è il dono, e del leaflet con spiegazione del follow-up cioè qualcosa che potremo usare per provare, e alla fine il congedo.

Non saprò mai cos'è tutta questa sequela di parole, del Timing Evento ho solo usufruito di tre svolazzanti pagine informative in funzione di cartella stampa, ma il congedo si, quella sarà l'unica cosa che riceverò mentre gli altri guarderanno nella borsa con gli omaggi, passandoci accanto sorridendo e noi due... uniche designate vittime dei paroloni, accuratamente selezionati e invitati, non lo sapremo mai! 
Ma si sa che c'è sempre in agguato quella goccia birichina che fa traboccare il vaso e mi gratificherò con questo articolo, mentre brinderò all'imbecillità di chi pensa che tutto gli sia dovuto e solo perchè ha un nome griffato, quello che a me viene meglio chiamare "pedigrèe", debba essere il giornalista a ringraziare per avergli concesso di invitarlo, di consentirgli tutte le spese di viaggio e permettergli di scrivere tanto e bene!

Gentilmente la signorina che mi ha invitata promettendomi una esperienza insolita e indimenticabile il giorno dopo mi domanderà se mi sono divertita, e dove scriverò!
Bontà del cielo! Una simile domanda suona come una presa... per la tastiera del mio computer! 
Ogni incontro è comunque sempre, nel bene come nel male, una esperienza insolita, come è scritto nell'invito, e che questa lo sia, e sia anche indimenticabile non c'è dubbio...

Ma mica è finita qui! In seguito riceverò una lettera con su scritto che per politiche aziendali dovrò prima fare visionare all'Azienda le foto scattate, perchè era presente un fotografo dell'azienda e le foto mandate in giro devono essere tutte allineate, aggiungendo che gradirebbero visionare anche il testo.
Ma va là! Ma guarda un po' come sono gentili! Prima di farmi pubblicare qualcosa leggeranno il mio articolo... dimenticando che:
- C'è differenza tra un fotografo e un giornalista che fa le foto per il suo articolo: il fotografo è una persona che viene pagata per fare un servizio fotografico richiesto e quindi è vincolato a quelle che hanno definito politiche aziendali.

- Il giornalista è una persona che viene invitata e se accetta l'invito, con o senza rimborsi, omaggi, o altro, non ha comunque degli obblighi se non quelli vincolati alla serietà professionale e alle Leggi dell'informazioni: potrà scrivere bene o male, potrà per qualche motivo non scrivere, potrà scattare lui le foto o avere il proprio giornalista-fotografo, o fotoreporter, che scatterà le foto utili esclusivamente per il proprio articolo e non è soggetto a visioni anticipate di cosa scriverà: la scelta dell'immagine che userà sarà esclusivamente sua.

- Nessuno è così importante per cui tutto gli sia dovuto e poco importa se non bevo alcolici... il gesto della bottiglia data a tutti gli altri è un piacevole segno di rispetto, cortesia, ospitalità e... intelligenza... che non paga nemmeno il disturbo di leggere l'invito, ma apre le porte alla pubblicità gratuita.
E come canta la favolosa Mina "Che cosa sei, che cosa sei. Parole, soltanto parole, parole tra noi": ma Mina è una grande! Certi individui sono piccoli, ma così piccoli...


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