Palati Raffinati

 

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Le Marche sono una regione tutta da scoprire per la bellezza di un ricco patrimonio naturalistico, per i tanti siti medievali e i monumenti che testimoniano una grande storia. Ma è anche una terra legata alle tradizioni e che le conserva con orgoglio. Secondo tutti gli indicatori turistici un viaggiatore su tre è orientato verso un turismo esperienziale ed enogastronomico e in questa regione non mancano percorsi del gusto che si intrecciano con quelli culturali in ogni stagione. I saperi della cucina più di altri sono la testimonianza della vita di un territorio, perché legate alla cultura rurale. Si possono gustare piatti straordinari nati nel tempo dalla fantasia di uomini e donne, alle prese con limitate risorse dei campi, dell’orto e del pollaio, come le zuppe di legumi arricchite da erbe spontanee, i pancotti, le paste fatte in casa di sole acqua e farina, le frattaglie, gli insaccati con i residui della lavorazione del maiale, come il morbidissimo e grasso ciauscolo da spalmare sul pane. C’erano anche i sontuosi timballi e i vincisgrassi imbottiti di tutto e a vari strati ma erano riservati alle feste comandate.

Oggi la cosiddetta cucina povera viene rivalutata anche dai grandi chef, forse un po’ ritoccata dalle incombenti tendenze salutiste e talvolta modaiole. Funghi e tartufi, specie quello bianco, il più profumato dono della terra, sono l’orgoglio di .Acqualagna e dintorni e grandi feste, come “Diamanti a Tavola” che si svolge ad Amandola a novembre, ne celebrano la bontà, abbinandoli a piatti con i prodotti dei Monti Sibillini. Abbiamo scelto un percorso enogastronomico tra Macerata e Fermo e tra le colline dei Sibillini, come primo impatto con le realtà dell’agroalimentare. Ma è dall’incontro con le persone che nasce la vera conoscenza, quella storia minore che i libri non raccontano.

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Tenaci e orgogliosi, i marchigiani sono legati alle tradizioni ma anche aperti al nuovo e ospitali. Qui la gente che non si è fatta scoraggiare dal terremoto e ha continuato a lavorare per ricostruire, a riaprire negozi, aziende e cantine. Molti gli esempi, che hanno mostrato come la vita è ricominciata, anche se qualche maceria non è stata ancora rimossa. Alle Tre Valli Cooperlat di Amandola, azienda cooperativa al top dell’arte casearia il brand manager Paolo Cesaretti ci racconta che anche quando la terra ha tremato nessuno ha disertato il lavoro. Questa azienda modello, grazie alla ricerca assoluta della qualità dei suoi prodotti, si è affermata nell’arte casearia anche fuori dai confini regionali. Può vantare una storia lunga 50 anni ma la vera svolta avvenne con il restyling del 2009 quando fu creato il brand “Noi di Tre Valli” ad indicare l’impegno dei singoli. Annualmente nei 9 stabilimenti del gruppo vengono trasformati 200 milioni di litri di latte, raccolto in stalle specializzate con bovini nutriti con foraggi naturali che godono appieno delle norme del benessere animale, come quella dell’azienda agricola Marinelli, a San Severino Marche. I prodotti caseari, a cominciare dalla mozzarella Sibilla, specialità regionale garantita, prodotta in varie pezzature, sono a forte vocazione territoriale. L’azienda ha sempre partecipato alla vita delle comunità dando vita ad iniziative di condivisione e promozione ma nello stesso tempo è aperta alle nuove sfide dei mercati.

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Altri esempi di attività strettamente legate al territorio sono nel settore vitivinicolo. Nelle aree collinari si producono ottimi vini da secoli ma, oltre alle grandi denominazioni frutto di vitigni autoctoni e internazionali, alcune cantine possono vantare vini unici, frutto di antica tradizione come la Vernaccia di Serrapetrona e il Vino Cotto stravecchio, prezioso elisir che matura e concentra per decenni il suo corredo aromatico in botticelle di legno. Per entrambi i vini i metodi di vinificazione sono rigorosi e non riproponibili altrove. A Serrapetrona, nell’entroterra maceratese, la Cantina Quacquarini, da sempre a conduzione familiare, con 35 ettari è la maggiore produttrice di questo vino particolare, l’unico spumante rosso a subire ben tre successive fermentazioni. Dopo la vendemmia i grappoli vengono appesi nei fruttai e lasciati tre mesi a temperatura controllata. Solo a gennaio avviene la pressatura e il mosto è lasciato fermentare. Ne risulta un vino elegante, aromatico e con un fine perlage che può essere messo in commercio, secondo il disciplinare, solo dopo un anno e mezzo dalla vendemmia. La famiglia Quacquarini, un brand anche nella pasticceria, lo usa nei dolci, nei cioccolatini e nei panettoni. 

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Procedura lunga e difficile anche per l’altro grande vino, quello Cotto, che ogni famiglia marchigiana produce e consuma nelle occasioni speciali come matrimoni o nascita dei figli. Si fa bollire il mosto ma la fase più importante è l’invecchiamento, senza tempo. I nonni – ci raccontano alla Cantina di Tiberi David di Loro Piceno - dicevano che il vino stravecchio per essere considerato pronto deve avere il colore dell’occhio del gallo.

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L’estensione di prati e la conseguente superficie coltivabile hanno creato una solida economia con l’ortofrutta e la produzione di l’allevamento del bestiame carni e salumi. Tanti gli insaccati suini nel budello naturale: dai prosciutti alle coppe, dalle pancette alle salsicce.

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La frutticoltura e l’orticoltura sono molto praticate. Nei frutteti crescono alcune varietà di mele ma quella che più di tutte rappresenta il territorio è la Mela rosa dei Monti Sibillini, presidio Slow Food, coltivata nelle aree pedecollinari fino alle valli appenniniche. Piccole, dolci, con polpa soda e croccante, si adattano bene alla conservazione per tutto l’inverno. Come accadde per molti frutti antichi, la loro coltivazione era stata quasi del tutto abbandonata ma ora sono tornate in coltura grazie al lavoro della comunità montana e del comune di Montedinove.

Ma le Marche offrono anche inaspettate e straordinarie sorprese, come il Museo del Cappello a Montappone dove quasi tutte le famiglie del borgo gestiscono cappellifici o comunque vi lavorano. E’ una tradizione artigianale apprezzata in tutto il mondo, come quelle delle calzature e dei pellami. Qui si confezionavano anche i cappelli di paglia intrecciata, quelli da lavoro per i contadini e quelli da passeggio per le signore ma oggi da questo distretto del cappello, di ogni foggia e materiale, partono per Paesi lontani casse e casse di prodotti finiti apprezzatissimi.

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Ricca di castelli medievali, di rocche e di edifici della fede, la regione è anche una meta storica di rilievo. Molti edifici rurali sono stati ristrutturati ed ospitano agriturismo con somministrazione di cibi e la capacità alloggiativa sta crescendo non soltanto nelle zone più turistiche. La cucina tipica è orgogliosamente presentata sia nelle piccole locande che nei resort di lusso. Tra i più eleganti relais c’è Borgo Lanciano a Castelraimondo (MC) con grandi spazi, attrezzature per il relax e il benessere. Nel suo ristorante, I due Angeli, la cucina è strettamente di tradizione e con prodotti del territorio che l’executive chef Paolo Paciaroni armonizza con la sua creatività.

Una vera leggenda è un altro antico ristorante tipico, Oscar & Amorina, di Piane di Montegiorgio (FM), anche albergo a 4 stelle. Su una immensa griglia cuociono carni di scottona marchigiana massaggiata con olio d’oliva e agnelli locali. Il tagliere di salumi, formaggi e sott’oli sono già un pasto, accompagnati da pani a lunga lievitazione.

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Francesco Conti, proprietario e chef, ama intrattenersi con gli ospiti e raccontare tutto del cibo che serve perché nulla arriva nel piatto che da lui non sia stato scelto personalmente da piccoli fornitori fidatissimi.

Questo è soltanto uno degli itinerari enogastronomici da consigliare, ma sia che si punti al turismo fai da te, che ci si affidi alle tante agenzie di viaggio, le Marche lasciano sempre un gran voglia di tornare.

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Per ulteriori informazioni: 

www.trevalli.cooperlat.it

www.diamantiatavola.it

www.quacquarini.it

www.museodellartedelcappello.it

www.oscareamorina.it

www.borgolanciano.it


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