Arte e dintorni

Una pagina di storia nazionale, tanto dolorosa quanto sconosciuta ai più, raccontata in una mostra: All’indomani dell’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio tra il Governo Italiano e gli alleati, ben oltre 700 mila soldati italiani furono catturati dai soldati tedeschi e sottoposti a pressanti richieste di collaborazione con il nazifascismo, pena la deportazione in Germania. La maggioranza di loro oppose un secco “NO” alla richiesta di collaborazione e per loro, stipati in oltre 40 persone in ciascun carro bestiame, iniziò un viaggio verso una meta che non conoscevano e neppure lontanamente immaginavano: i lager tedeschi.

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S.Maresca: La baracca Emilia a Biala Polaska

La mostra sulla vita nei lager dei nostri soldati, voluta dall’A.N.R.P. – Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalle Guerra di Liberazione e loro familiari –, con il contributo della Repubblica Federale Tedesca, “ha lo scopo” nelle parole di un curatore, “di valorizzare il patrimonio storico culturale ed umano degli oltre 650 mila militari italiani rientrati in patria alla fine delle ostilità, ai quali si aggiungono i 50 mila deceduti nel corso della prigionia”.

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La bilancia da orafo era utilizzata per pesare il pane, come nella foto. Un pezzo per ogni baracca. Possedere una macchina fotografica fu concesso solo ad alcuni ufficiali

Il percorso espositivo, allestito nella sede romana dellìA.N.R.P., si articola in sei diverse sezioni, in cui, ciascuna di queste, racconta e sviluppa un determinato tema.
La prima sezione illustra con l’ausilio di documenti e giornali dell’epoca gli eventi storici e politici che seguirono l’armistizio dell’8 settembre. Solo una piccola parte dei soldati del Regio Esercito, come illustrato nella seconda sezione, privi di direttive, riuscì a fuggire, altri aderirono al nazifascismo, altri ancora si dettero “alla macchia” e costituirono le prime brigate partigiane, infine il maggior numero fu catturato, disarmato e inviato in Germania.

“Spogliati di tutto, fotografati e privati del proprio nome, sostituito da un numero inciso su una piastrina comincia per gli IMI- Internati Militari Italiani- il processo di spersonalizzazione”, come scrivono i curatori nel presentarci la terza sezione. Le sistemazioni nei campi di concentramento,- leggi lager-, erano di due diversi tipi: gli “oflag” per gli ufficiali ai quali era riservato un trattamento migliore- cibo, riscaldamento, ecc., sempre alquanto limitati- rispetto alle pessime condizioni imposte ai sottoufficiali e soldati negli “stalag” dove le già carenti e precarie condizioni di vita erano notevolmente aggravate dall’obbligo del lavoro, dal quale erano esentati gli ufficiali.

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Marchi tedeschi circolanti nel 1944

La quarta sezione documenta l’accordo intercorso nel luglio 1944 fra Mussolini e Hitler che riconosce agli internati militari lo status di lavoratori civili. Le dure condizioni di vita rimangono immutate però vennero concesse un minimo di libertà e una specie di paga per le prestazioni lavorative.

Finalmente la liberazione è quanto racconta la quinta sezione avvenuta tra il gennaio ed il febbraio 1945 ad opera sia dell’armata rossa che delle truppe alleate. Le bacheche allestite in questa sala documentano il lento recupero di una vita civile inclusi giochi e passatempi improvvisati in attesa che passi il tempo per il tanto sospirato rimpatrio e il ritorno a casa, documentato nella sesta ed ultima sezione.

I programmai di rimpatrio organizzati dal governo italiani sono spesso confusi e spesso con percorsi improvvisati fra le tante rovine che caratterizzano l’Europa del dopoguerra.

Scrive uno dei curatori: “ Al loro rientro a casa gli ex IMI non sono ascoltati volentieri da un popolo stanco di sentir parlare della guerra. La loro storia è stata ignorata per molti anni. Solo quando alcuni storici, nella metà degli anni ottanta, incominciarono ad occuparsene, s’iniziò a rendere omaggio a quei “650mila” che con il “NO” contribuirono a portare la libertà e la democrazia nel nostro paese”.

INFO: ROMA, Via Labicana, 15/A, tel. 06.7004253 – fax 06.77255542. Visite su prenotazione. Informazioni e.mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.www.anrp.it

Foto © Donatello Urbani


archivio

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